La mostra Harraga, alla Galleria Forma Meravigli, presenta il lavoro di Giulio Piscitelli, fotoreporter. Ha viaggiato nel deserto e attraversato su un barcone il Mediterraneo per raccontare, da incredibilmente vicino, le rotte dei migranti.
Uno dei modi per decifrare una storia, o un fenomeno, qualunque siano le dimensioni, è prendervi parte. È da una primaria necessità di comprensione che muove il lavoro di Giulio Piscitelli, fotogiornalista di Napoli, annata ‘81, che per oltre sei anni ha viaggiato accanto ai migranti sulle rotte che passano dall’Africa e dai suoi deserti, attraverso l’insidioso Mar Mediterraneo, o dai Balcani, alla ricerca di un futuro verso nord. In mezzo, i Cie italiani, Calais e le infinite difficoltà di uomini e donne che Piscitelli ha documentato vivendole anche sulla propria pelle.
Un grande corpus di lavoro, diviso nei capitoli di Harraga, libro e mostra, in Galleria Meravigli ancora per pochi giorni, che raccontano tutto questo senza mettere un punto, bensì una virgola, perché c’è ancora tanto da raccontare. Tutto è cominciato a Rosarno nel 2010, con la rivolta degli agricoltori stranieri nella Piana di Gioia Tauro, tra sfruttamento, xenofobia e intolleranza. «È stato un punto d’inizio, poi le cose si sono evolute in maniera naturale: non pensavo a un progetto così ampio». Ma una volta aperti gli occhi su quella realtà prima sconosciuta, la curiosità di andare avanti e di approfondire, al di là delle singole news, temi come il traffico di esseri umani e il limbo in cui finiscono per perdersi ed essere persi, è diventata fortissima.
Con questo progetto, presentato con il titolo From Here to There, il fotogiornalista ha vinto il prestigioso Premio Ponchielli: un onore e anche una somma di denaro, ossigeno in un mondo dove spesso ce n’è troppo poco per portare avanti questo tipo di ricerca. La sera della premiazione Piscitelli ha ringraziato e festeggiato la vittoria via Skype: era in Iraq a fare il suo mestiere. Il suo posto, infatti, non è in mezzo a quelli che lo fanno per la gloria. È dove accadono le cose. Ancora più vicino, perché, per rivisitare Capa, a raccontare a distanza di sicurezza sono capaci tutti. Piscitelli ha rischiato anche la vita per documentare una delle parti più pericolose del viaggio, quella via mare. Più di 24 ore su un gommone insieme a un gruppo di migranti e senza la certezza di arrivare a toccare di nuovo la terra. «Sì, a un certo punto mi sono chiesto che cosa mi fosse saltato in mente. Per quanto terribile possa essere trovarsi sotto i bombardamenti di Aleppo, essere in mezzo al mare, su una barca stracolma di uomini che potrebbe non arrivare a destinazione, porta un senso d’angoscia indescrivibile e che non ha paragoni. Sono state tra le ore più lunghe della mia vita».
Eppure Piscitelli non rischia la vita per incoscienza. E nemmeno, dice lui, per un intento che alcuni potrebbero definire eroico. «Parto per seguire una storia perché prima di tutto interessa a me: per me la fotografia è un modo per capire e per studiare un fenomeno». Essa è il mezzo che riesce a rendere accessibili, in primis a lui, le storie e la loro comprensione. «Se attraverso di esse le persone possono apprendere qualcosa ben venga, ma non credo di avere una missione o un ruolo di testimone». Missione o no, le immagini che ci riporta Piscitelli sono proprio una testimonianza di cose che a volte vorremmo ignorare e insieme, per lui e per noi, una scuola di umanità e di fotografia. Per lui che, laureato in Scienze della comunicazione, ha cominciato con la fotografia di scena in teatro e si è trovato a imparare sul campo le regole e il linguaggio del giornalismo. Le immagini, che penetrano profondamente le situazioni, senza scadere mai nel pietismo, e che riescono a farsi apprezzare anche per la loro bellezza, costituiscono un documento storico, un archivio, e si proiettano anche in una dimensione di memoria. Di nuovo, del fotografo, e insieme collettiva.
Il progetto di Piscitelli prosegue e si concentrerà su un risvolto della questione che per ora nel suo lavoro è apparso poco: quello relativo alle seconde e terze generazioni. «Mi sono reso conto in questi anni che la questione dell’immigrazione è sì legata a quelle persone che arrivano e non hanno modo di trovare una giusta sistemazione e un giusto modo di vivere, ma è anche un problema legato alla mancanza di diritti civili nella nostra società, specialmente in Europa e in Italia». Una riflessione che Piscitelli ha maturato nel tempo e che, assicura, si farà più urgente nei prossimi anni, complici gli estremismi politici che pian piano prendono piede in giro per il continente. «I migranti – spiega – sono viaggiatori privi delle possibilità dei viaggiatori normali. Se potessero muoversi liberamente l’immigrazione clandestina non esisterebbe: più che un problema di numeri, è un problema burocratico».
E allora sorge una domanda: il fotogiornalismo è in grado di contrastare questi meccanismi e di cambiare le cose? «Il fotogiornalismo – risponde Piscitelli – non contrasta. Vuole informare, non chiudere gli occhi davanti alla realtà. Non cambia le cose, ma dovrebbe rendere consapevoli le persone, partecipi, spingendole alla riflessione nei confronti di alcune problematiche: se è così, funziona. Sono le giuste politiche che dovranno poi cambiare le cose».
Harraga, Galleria Forma Meravigli, fino al 26 marzo 2017.
Immagine di copertina: Melilla, Spagna, agosto 2014. Immigrati subsahariani cercano di scavalcare la rete di confine tra Spagna e Marocco. ©Giulio Piscitelli/Contrasto