Chiuderà a breve, l’11 febbraio prossimo, la mostra Pittura Italiana Oggi alla Triennale di Milano, a cura di Damiano Gullì con l’allestimento dello Studio Italo Rota. Una mostra che molto ha fatto discutere, non sempre in positivo, per l’arbitrarietà delle scelte curatoriali e per l’allestimento didascalico. Una mostra comunque da visitare, soprattutto per la qualità di molti dei partecipanti che, a prescindere, hanno da dire la loro nel panorama della pittura dei nostri tempi.
Chiude domenica 11 febbraio Pittura Italiana Oggi, in Triennale. Molto è stato scritto a riguardo, e forse sarebbe opportuno tornare a visitarla.
Questa occasione singolare, tanto complessa quanto rara, raccoglie le produzioni più recenti di centoventi artisti nati tra il ’60 e il 2001. Come sottolinea il curatore Damiano Gullì nell’introduzione al catalogo, sono passati novant’anni dall’ultima grande antologica di pittura alla Triennale. Pur nella trasformazione delle civiltà e delle tecnologie, i sensi e la percezione della natura e dell’arte si modificano lentamente, ma non si capovolgono mai. I quadri e le installazioni esposte parlano chiaro, la stessa presenza di un così grande numero di artisti sancisce chiaramente la costante, l’invariabile: la pittura.
Nel celebrare il centenario dell’istituzione milanese si afferma con una mostra collettiva e celebrativa il ruolo e lo spazio della pittura. Il titolo richiama l’omonima pubblicazione di Giancarlo Politi del 1975, in occasione della mostra tenutasi presso la galleria Espace 5 di Montreal e poi a Parigi che vedeva esposti undici pittori italiani tra cui Aricò, Dorazio, Griffa. Citando lo stesso Politi: ” In questi nomi da me scelti a delimitare una zona italiana della cosiddetta nuova pittura non c’è volutamente sorpresa, poichè obbiettivamente la pittura italiana di oggi, sia a livello di interesse critico che di mercato è rappresentata più o meno da questi artisti. Almeno per l’idea corrente di pittura. Un panorama che è anche un documento in quanto l’indice esatto di una situazione.” Sono molte le riflessioni che, in modi differenti, fanno riferimento al panorama ed al paesaggio della pittura italiana, alla ricerca di coordinate e geografie in cui situare il presente per intuirne gli sviluppi. In questa comune attenzione allo spazio non stupisce dunque che l’allestimento sia stato affidato ad uno studio di architettura, quello di Italo Rota, e che proprio nel contrasto tra lo spazio architettonico e quello della pittura affiori il tema centrale della mostra, il denominatore di ogni opera esposta.
Una mappatura prevede la codifica di elementi in un ordine di coesistenza, implica distinzioni precise e statiche, un poco come la divisione delle stanze di una casa. La mostra si snoda per i curvi corridoi in un circuito semicircolare. Pannelli color panna provvisti di pensiline, sfortunatamente non sufficientemente luminose, e rispettive pedane creano anse e nicchie in un allestimento biocompatibile e rimodulabile dal sapore un poco fieristico, se non di un’astronave con i colori di una casa di cura. Un susseguirsi di suggestioni a sé stanti, luoghi a tenuta stagna arredati di elementi nell’ordine di un’orizzonte di senso logico che raffredda però la possibilità di riconoscimento della singolarità di ciascuno, così come di una tensione generale, e allontana il visitatore, come se le pedane fossero più una distanza di sicurezza incalpestabile che un supporto accogliente e percorribile. Sono spazi resi luoghi, codificati per temi o analogie iconografiche. La scelta di relegare in un edicola didascalica il Sistema periodico di Massimo Kaufmann, e 14 Orizzonti domestici di Capogrosso ne è un esempio, sacrifica entrambi accostandoli in fede di una comune aniconicità all’urlo murale di Gonzato, mutilandoli. La ricerca di un contenitore neutro per una mappatura di contenuti chiude lo spazio in un circuito chiuso, in contrasto con la vitalità delle opere in grado di costruire spazi dinamici, in un dialogo collettivo percepibile nonostante le suddette chiusure e da cui incredibilmente risulta forse addirittura rinvigorito.
Quando le scelte di allestimento creano luoghi e non spazi. Si tratta di uno spazio neutro che neutro non può essere, considerata la difficoltà nel costruire un percorso critico nella varietà della produzione del contemporaneo. La mancanza di una distanza critica che consenta di smarcarsi dalle dinamiche contingenti per riconoscerle senza esserne travolti comporta la rinuncia a ragioni di codifica in fede di ritrovare una dimensione altra, una tensione ai sensi su cui la pittura si orienta, soprattutto oggi. Così lo spazio espositivo può essere percorso o circuito, creare spazi in cui trovare un senso comune nella deriva, percorrendo attivamente i corridoi di senso e la perdita d’orientamento generale di cui sono testimoni i centoventi casi esempio. La varietà delle risposte agli stessi stimoli si scopre nell’ incontrarsi, nella possibilità dinamica di attraversare le singole immagini e percepire i confini tra l’una e l’altra nel loro distinguersi, non necessariamente nel loro convergere. L’allestimento dunque non ha reso particolare merito alla qualità dei lavori presentati, che invece lasciano ben sperare per i prossimi anni della pittura italiana.
Il problema fondamentale in Italia è quello di una capacità di autonarrarsi che si è andata perdendo già a metà del secolo scorso. Come ricorda il monumento al pittore ignoto, PAC, Ferrara, non sono solo gli artisti a fare la storia dell’arte. È il sistema culturale a determinare il valore e la portata di un gesto artistico, e la sua narrazione fa si che entri o meno nel patrimonio collettivo. L’urgenza di tutto ciò nel languire della critica è chiaro ai più, soprattutto ai collezionisti, che fanno a gara per infilare gli artisti di scuderia in ogni occasione possa garantire una certa visibilità a discapito del curatore, che legato alle politiche relazionali ed economiche che tengono in piedi gallerie come realtà museali, è costretto agli angoli. La mostra del ’75 contava in effetti undici pittori, collettive dell’entità della presente comportano un’ordine di pensiero e di scelta differente. A tratti vien da chiedersi come si sia evoluto il criterio di scelta, e cosa comporti. Ma proprio negli interstizi si celano costanti ed incostanti, gli aspetti più inavvertiti e sorprendenti dell’incontro tra alterità che definisce le coordinate spaziali di un contesto attraversabile e fruibile, a cui partecipare per riconoscersi nell’incontro. Lo spazio della pittura è uno stadio simbolico differente rispetto a quello dell’architettura, si muove su altre geografie unendo alle logiche della prassi relazioni segrete ed indicibili. Come si fanno spazio i lavori di Giuliana Rosso, per cui “l’angolo è il limite di una stanza ma è anche luogo di nascita e di incontro, d’ombra e di fantasticheria” ma anche Alice Visentin, Bea Bonafini, Edoardo Piermattei con il suo tempietto ed in modo ancora diverso Erik Saglia e Andrea Kvas. Le diverse soggettività e le loro variazioni costituiscono allora una molteplicità di sguardi sullo stesso panorama, in cui poter ritrovare qui l’urgenza di riavvicinarsi alla sensorialità, di un ritorno al sogno, al gioco, a forme primitive ed originarie di una nuova sacralità attraverso cui tradurre nuovi spazi, sogni ed incubi di oggi.
La realtà personale si manifesta in forme uniche ascrivendosi a modello.
Qui succedono cose antiche direbbe forse Warburg davanti ai quadri di Jem Peruchini, in cui la maturità del gesto pittorico ed i silenzi evocativi offrono uno sguardo contemporaneo su antiche narrazioni. Roberto de Pinto incarna la pittura in una varietà preziosa del segno dove la carnalità materica di corpi, calore, sudore, e peli si fa fisicità sensibile a tratti classica. Nelle tele di Emilio Gola rivivono modelli compositivi in scene di vita quotidiana, mentre Aronne introduce mitologie personali ed universali. C’è chi, come Giulio Frigo, sfida la percezione, attento alla struttura plastica e metamorfica della realtà.
Nella possibilità di perdersi nel numero e nella varietà di questi lavori datati 2020-2023, si fa strada più vivo che mai l’evidente bisogno di un sentimento estetico condiviso in grado di sostenere le criticità di un momento storico di logiche sovvertite, che crei spazi e non luoghi.
Pittura Italiana Oggi, a cura di Damiano Gullì, Triennale Milano, fino all’11 febbraio
In copertina: Andrea Kvas, G.M.S. II, 2023, particolare