Franco Però tesse uno spettacolo essenziale fatto a quadri dove si percepisce in maniera costante, sullo sfondo, il silenzio…
Un salotto borghese che diventa un ring. Un dramma familiare che si consuma come un incontro di boxe, davanti agli occhi degli spettatori, tra ferocia ed ironia. Una lotta di amore ed odio a cui si assiste tra risate e pugni nello stomaco. Queste le parole che possono riassumere il commento del regista Franco Però in occasione dell’allestimento di Play Strindberg di cui ha firmato la regia.
Lo spettacolo coprodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Artisti Riuniti, Mittelfest 2016, è in cartellone a Milano, fino al 3 dicembre, al teatro Menotti.
«Il riso e il pugno allo stomaco, il sorriso e l’amarezza si alternano continuamente su questo palcoscenico ring, riportando – si legge in una nota di regia – davanti agli occhi dello spettatore gli angoli più nascosti di quel nucleo, amato od odiato, fondamentale – almeno fino ad oggi… – delle nostre società: la famiglia». Play Strindberg è una variazione dell’autore Friedrich Dürrenmatt del dramma Danza Macabra di August Strindberg. Nel 1969, in occasione di un allestimento nel teatro di Basilea, affascinato dall’opera dell’autore svedese, ma insoddisfatto della traduzione,
Dürrenmatt decide di rielaborare il testo strindberghiano. Nasce così non un mero adattamento, ma una nuova pièce teatrale. Polemico, mordace, acuto Dürrenmatt costruisce un ménage à trois dissacrante. L’attenzione si concentra sul triangolo di sentimenti, bugie e verità costruite in venticinque anni di matrimonio dai tre protagonisti della vicenda. Edgar, capitano d’artiglieria e marito di Alice innamorata, da sempre, dell’ideale che si è fatta del cugino Kurt di cui in passato è stata amante.
I due coniugi vivono in solitudine in una casa su un’isola asfittica, mentre i figli sono rimasti ad abitare lontano, in città. Di loro si ha notizia grazie a un telegrafo. Marito e moglie si sono chiusi nel loro matrimonio infelice.
Lei ancora desiderosa, se ce ne fosse la possibilità, di godere ancora di un attimo di vita più allegro; lui anelante di ricevere e trovare, in fondo, ancora un briciolo di tenerezza. Ammalato e dispotico Edgar (Franco Castellano) usa i suoi scompensi cardiaci in maniera istrionica per carpire verità. L’uomo gestisce l’economia domestica e priva Alice della libertà di poter fare la spesa e di riempire la dispensa come vorrebbe.
La costringe a una vita ai limiti della povertà e la spinge a dovere rinunciare all’opportunità di intessere relazioni di buon vicinato. Ed è proprio dalla casa dei vicini che provengono il suono di una musica e gli echi di una festa a cui Alice avrebbe voluto partecipare. L’arrivo improvviso ed inaspettato del cugino Kurt (Maurizio Donadoni, vincitore per questo ruolo del premio della critica Veretium) sembrerebbe portare una boccata d’aria in un clima claustrofobico.
È per lui che Alice (Maria Paiato) torna a suonare il pianoforte presente in salotto. Vittima e carnefice, Alice si augura la morte del marito. Ma il suo augurio scatena ilarità nel pubblico. Testimone di quell’incontro/scontro che si realizza nello spazio scenico di un salotto borghese circondato dalle corde proprie del mondo del wrestling.
È attraverso quelle gomene che gli spettatori sono chiamati a osservare gli undici round in cui si dipana la vicenda. Undici scene scandite da un gong e dalle musiche di Antonio Di Pofi. Oltre che dal disegno luci progettato da Luca Bronzo. Si ride molto durante questo spettacolo intriso di ironia. E di atmosfere a tratti cechoviane, a tratti brechtiane. Alice e Kurt ingannano l’attesa e la fame giocando a carte, fumando una sigaretta, corteggiandosi al pianoforte, mentre Edgar si concentra sul patrimonio e sulla promozione di carriera tanto agognata.
I personaggi discutono, entrano ed escono dalle varie riprese mentre scavalcano le funi che racchiudono il salotto messo a punto dallo scenografo Antonio Fiorentino. Sulle corde del ring scivola la coda del lungo vestito di velluto rosso indossato da Alice-Paiato e pensato da Andrea Viotti. Nessun match è vinto.
Tutti i personaggi in maniera sardonica si rendono gli uni i delatori degli altri. Si ricattano per soldi, si svelano per quello che sono e i due coniugi si ritroveranno ancora una volta insieme nell’immobilità. Eppure, nonostante tutto, il pubblico sarà ancora una volta portato a sorridere. Uno spettacolo essenziale fatto a quadri dove si percepisce in maniera costante, sullo sfondo, il silenzio. Una prova d’attore. Una lezione di teatro.
Play Strindberg, al Teatro Menotti fino al 3 dicembre