Discutendo con Italo Testa di nuove poetiche tra web, culture visive e tensione verso la realtà. Con un consiglio ai lettori: leggete i nuovi, ma partite dai classici
Italo Testa, poeta e critico, dirige (con Alessandro Broggi e Stefano Salvi), L’Ulisse. Rivista di poesia, arti e scritture che esce on line dal 2004. Nell’ultimo numero una quarantina di poeti hanno aperto un dibattito sulle nuove poetiche. Qui ne parliamo, lanciando un occhio al web, alle nuove generazioni e al loro rapporto con la poesia.
Vorrei partire da una difficoltà molto prosaica, quella di reperire materialmente i libri di poesia. Non crede che si potrebbero sfruttare le risorse della rete?
Senz’altro la rete consente di ovviare ad alcuni problemi. Pensiamo alla collana di ebook che Biagio Cepollaro aveva messo online già negli anni zero: è stata importante perché ha consentito sia di ripubblicare testi da lungo tempo irreperibili, sia di pubblicare nuovi poeti. Internet permette anche di creare mix inediti, saltando barriere generazionali e di scuola. Un’altra iniziativa significativa è quella di Francesco Forlani con Indypendentemente, che ha costituito di recente una biblioteca online dove diversi autori hanno ripubblicato in forma di pdf testi esauriti e non ristampati. Detto questo, non credo che si andrà a sostituire il libro di poesia cartaceo, perché probabilmente, viste le sue caratteristiche di marginalità, rarità, è uno dei pochi di cui si può prevedere la sopravvivenza, anche perché può essere a sua volta elaborato come oggetto artistico (sotto forma di libro d’arte o plaquette).
Mi sembra che per la poesia 2.0 si riveli inevitabile un confronto con la multimedialità e la realtà della Rete. È d’accordo?
È interessante riflettere su come l’ambiente multimediale – e soprattutto la videoscrittura –stia influendo sulle forme letterarie. E’ una questione tutto sommato poco approfondita cui dedicheremo il prossimo numero della rivista. Si è già messo in luce che esistono nuove tendenze, nuovi generi di scrittura – come i sought poems, intimamente legati a Google, oppure forme di scrittura multimediale. La questione è però molto più ampia: ci sono già dei nuovi fenomeni stilistici, sintattici, metrici. Per esempio è stata notata la forte tendenza paratattica che si trova in tanta prosa e poesia contemporanea e che sembra riprodurre mimeticamente alcuni aspetti della scrittura sul web o sui dispositivi mobili. Per quanto riguarda, invece, le forme metriche, si potrebbe ipotizzare un’influenza anche del word processing: non soltanto nella propensione a scandire i testi in paragrafi, propria di molti autori contemporanei, ma anche nel tipo di formattazioni tendenti sempre più verso una metrica visiva e grafica, che non è basata sul computo delle sillabe e degli accenti ma piuttosto sulla spazializzazione del testo. Si attualizza, da questo punto di vista, il discorso di Amelia Rosselli sugli spazi metrici.
Questo comporta un ripensamento del soggetto poetico?
Certamente la presenza di un tipo di soggettività più discontinua, intermittente, può essere collegata a questa osmosi tra l’ambiente multimediale, la scrittura, e le nuove modalità di darsi di un’esperienza frammentata e multitasking.
Cos’è cambiato dagli anni ’90 ad oggi per quel che riguarda il fare gruppo?
Il luogo d’azione principale è oggi la rete e si possono individuare elementi di aggregazione differenti rispetto al passato e non di tipo ideologico. Paradossalmente le barriere fra le generazioni sono meno forti e ci formiamo tutti in un ambiente più omogeneo. Eppure le differenze generazionali pesano di più e giocano oggi un ruolo politico: molti nati negli anni ’80, in modo più organizzato rispetto alla generazione del ’70, si dimostrano capaci di fare gruppo e avviano riflessioni sulle modalità del fare poetico che mi sembrano bypassare molti steccati. Rispetto agli anni ’90, non c’è più un programma poetico condiviso da un gruppo militante e il Gruppo ’93 è l’ultima esperienza significativa in questo senso. Tutta la vicenda che va fino ad allora rimaneva modellata sull’esempio delle avanguardie militari, rivoluzionarie, che si lanciano alla conquista del campo letterario. Questo elemento di contrapposizione veramente radicale è venuto meno insieme a un certo discorso programmatico che si definiva a priori rispetto ai contenuti materiali del testo.
Aprire una discussione sulle poetiche può essere un modo per sondare se ci sono delle linee sulle quali ci si sta muovendo insieme?
Negli ultimi due decenni si è dato per scontato che il discorso sulla poetica non abbia più un ruolo nella scrittura dei poeti contemporanei. E’ vero? O magari le poetiche giocano ancora un ruolo, ma si stanno trasformando? Se è vero che la fine delle poetiche programmatiche è stata anche un momento emancipatorio, la discussione sembra però essersi un po’ impoverita. Noi volevamo vedere se un dibattito letterario esiste e se i poeti contemporanei ne sono all’altezza. Sotto questo aspetto il numero ci sembra una scommessa vinta e mi sembra rivelare che ci sono personalità forti ed elementi trasversali. Molti dei riferimenti condivisi che vanno a comporre le poetiche di questi autori non sono di tipo letterario: un elemento che definisce un orizzonte culturale comune spesso è una certa cultura visiva, per esempio cinematografica o collegata alle visual arts, o musicale. Le idee di poetica sembrano rivivere in un contesto che, nelle sue premesse, è postletterario, in cui la formazione letteraria non è il vettore unico e principale, ma cuce a posteriori una serie di altre esperienze, dall’industria culturale e dalla cultura pop. Diventa così difficile anche scommettere su una linea di tendenza, proprio perché il panorama mostra un insieme di vettori che vanno in più direzioni e si intersecano in molti punti. In questo numero dell’Ulisse, gli autori sono intervenuti in vario modo, usando diverse modalità espressive, ma non mi pare vi sia incomunicabilità tra le varie prospettive. Questa foto di gruppo non è un arcipelago di isole: pur con diversi approcci si nota un dialogo a distanza molto fitto.
Molti degli intervenuti riconoscono alla poesia un ruolo di indagine e di confronto con la realtà. Cosa ne pensa e come si pone lei nella sua esperienza di poeta?
I poeti contemporanei hanno un rovello legato al fatto che la poesia, nella seconda metà del Novecento, è diventata un discorso molto chiuso in se stesso, a volte anche teorizzando questa autoreferenzialità come modo di aggredire criticamente la realtà. Alla fine però il risultato è stato spesso un allontanamento fra poesia e pubblico, una certa difficoltà dei poeti a parlare di altro che non fosse la poesia stessa. L’esigenza di far fronte a questa situazione è avvertita oggi da molti. Tanta poesia contemporanea, anche quella che si ricollega all’idea di poesia come indagine sul linguaggio, parte spesso da un lingua piana, funzionale (si pensi al lavoro di Alessandro Broggi). Questa è una delle cose interessanti: emerge da vari lati un’attitudine della poesia contemporanea, se non comunicativa, sicuramente meno autoreferenziale. La poesia lavora sul linguaggio, ma aspira ad andare oltre. Credo che vi sia una tensione profonda ad andare alle cose stesse, una spinta a intercettare una dimensione di alterità, di esperienza, quello che alcuni chiamano realtà. Non confonderei questa tendenza con la questione del realismo però. Piuttosto c’è un’approssimazione alla trascendenza verso l’altro, all’apertura all’estraneo, a quanto ci mette in gioco; in fondo la poesia apre la possibilità del confronto con l’alterità, vale a dire con qualcosa di non intenzionale, di impensato. Un tentativo, cioè, di andare ai limiti del nostro dire e insieme del nostro modo di fare contatto con il mondo.
Una delle cose che mi sembra non siano emersa dal dibattito è la questione della voce, mi riferisco a quella tangenza fra la poesia e l’oralità, del poetry slam, dell’importanza della dimensione acustica. Cosa ne pensa?
Ci sono alcuni autori che hanno delle esperienze legate all’oralità (per esempio Florinda Fusco) o che hanno un’attitudine performativa accentuata (per esempio Socci è un ottimo performer; anche Maria Grazia Calandrone ha una poesia nella quale vi è una dimensione performativa interna) o che hanno pubblicato libri accompagnati da cd (come Laura Pugno, Giovanna Frene e diversi altri). Tuttavia, anche in questi autori la ricerca sulla voce non è la dimensione prevalente del lavoro poetico. Questo non significa dire che l’oralità non sia importante e che non possa giocare un ruolo nella riattivazione del circuito della poesia. Credo però che pensare di rifondare tutta la scrittura sulla vocalità sia un’operazione che ha dei limiti perché non tiene conto delle dimensioni strutturali del fare poetico, per quanto io stesso riconosca un ruolo senz’altro positivo al circuito slam per quel che riguarda il riavvicinamento della poesia alla cultura pop e musicale.
Mi sembra che le nuove generazioni dialoghino con un panorama di riferimenti più ampio e meno univoco rispetto al passato. Ci sono delle linee privilegiate secondo lei?
Alle spalle di questi poeti non solo c’è un punto di partenza postletterario, come dicevamo prima, ma anche un background europeo. Si verifica piuttosto un fenomeno di rientro nella tradizione italiana: è come se alcuni autori non partissero dalla tradizione italiana ma vi rientrassero dopo, e qualche filo viene sicuramente ripescato. C’è sicuramente una crisi di autorità dei modelli di lingua italiana che si accompagna ad un indebolimento della tradizione culturale, ma questo porta anche l’apertura ad un orizzonte più vasto.
Infine: consigli ad un giovane lettore che voglia scoprire poeti attivi. Da dove partire?
Il panorama oggi è sicuramente molto più polverizzato che in passato. La situazione dell’editoria è oggi più simile a quella della musica rock, dove le etichette indies svolgono non solo un ruolo di scouting, ma definiscono le tendenze su cui più tardi si vanno a gettare anche le major. Anche la rete, dove transita gran parte della produzione poetica, è un po’ una selva, ma in generale io ci vedo una risorsa. Detto questo, tanti siti fanno un lavoro di ricerca sulla qualità: dalla rivista in senso proprio come l’Ulisse, al blog programmato e scandito con una forte centralizzazione nella scelte come Le parole e le cose, al blog più articolato come Nazione Indiana e poi ad altri siti che si occupano specificatamente di poesia: Officinapoesia di Nuovi Argomenti, absolutepoetry, Punto Critico, GAMMM, poetarumsilva, formavera, poesia2.0, criticaimpura, La Balena Bianca e potrei andare avanti citando diverse altre esperienze interessanti e qualificate. Il mio consiglio a un giovane è senz’altro di cercare di avere una percezione del dibattito che si svolge in questi luoghi, anche se è consigliabile arrivarvi con esperienze di lettura non mediate, guardando ai classici, ai grandi autori del Novecento, e quindi a importanti poeti contemporanei recenti come ad esempio Umberto Fiori, Antonella Anedda, Franco Buffoni, Fabio Pusterla, Giuliano Mesa, Mario Benedetti, Biagio Cepollaro.
Foto: Viva la poesia di Jorge Mejia Peralta