Popster, la musica pop e il giornalismo musicale

In Interviste, Musica

Nata nel 1976, Popster è stata la prima rivista musicale italiana a saper coniugare una vasta popolarità e uno stile giornalistico molto curato

Come abbiamo visto nel precedente articolo, nel quale iniziavamo a raccontare la storia della critica musicale in Italia, le riviste “iperpoliticizzate” quali Muzak erano parte di una minoranza (anche se hanno segnato profondamente gli anni ’70 così come i periodi seguenti).

Le riviste degli anni ’70 che avevano più seguito e che circolavano maggiormente tra i giovani, per i quali la militanza politica e la militanza musicale non erano imperativi morali, erano quelle nate sull’onda di Ciao 2001 una rivista molto conosciuta fino agli anni Novanta e che fece da modello a molte altre. Per far capire la differenza di impatto sul pubblico tra Muzak e Ciao 2001 basta pensare che la prima aveva una tiratura di circa 35.000 copie, mentre la seconda oscillava fra le 60 e le 80.000; numeri che fanno effetto soprattutto se si confrontano con la tiratura delle riviste di oggi.

Un esempio di rivista che dava voce a quest’altra anima del giornalismo musicale italiano – quella più legata alla critica musicale che alla politica – è Popster, rivista durata solo cinque anni, dal 1976 al 1980, ma che ha segnato in modo importante il futuro dell’editoria musicale.

Per sapere di più di questa celebre rivista ho intervistato Giuseppe Videtti, una delle più importanti firme del giornalismo musicale italiano, entrato in Popster nel 1977.

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Iniziamo con un po’ di storia: il nome Popster deriva da una fusione tra le parole “pop” e “poster” proprio perché all’inizio della sua storia la rivista era in realtà un poster.
Sì, all’inizio era un manifesto piegato, una monografica in cui c’era la storia di un gruppo solo: Bowie, Rolling Stones eccetera. La struttura era semplice, c’erano molte foto e possibilmente un’intervista, perché all’epoca non era così semplice trovare notizie sui gruppi. Solo in seguito il giornale si è evoluto e sono state aggiunte più pagine, con all’interno il poster; infine il poster è stato tolto. Il giornale vero e proprio è stato fondato da Carlo Massarini.

Come si può intuire già dal nome, il genere che veniva più trattato era quello dell’immensa categoria del pop, però non si trascuravano generi che potevano essere ascritti alla categoria del rock più mainstream.
All’epoca a raccontare questi generi c’era solo Ciao 2001, un giornale a grandissima tiratura (più della Repubblica di adesso), era molto molto popolare. Però era anche molto “raffazzonato”, oserei dire; era impaginato con molte foto, di bassa qualità.
Popster, mensile, nacque proprio per “sostituire” Ciao 2001, ma Massarini voleva creare un giornale di qualità migliore, con interviste, foto e articoli di una certa rilevanza. Era un progetto molto ambizioso. Quando Popster perse il formato manifesto e divenne un vero giornale io chiesi di collaborare, mi pare dalla primavera del 1977. In quel periodo ci occupavamo di pop e rock, e poi del punk, fenomeno nascente allora. Poi la new wave.

Quindi possiamo dire che Popster volesse prendere il posto di Ciao 2001, non tanto per una questione economica, che ovviamente aveva il suo peso, ma principalmente per lanciare un nuovo modo di fare giornalismo musicale.
All’epoca nascevano molte riviste, anche per impulso di Ciao 2001, ma erano fatte “un po’ così” e molte chiudevano nel giro di sei mesi. Tutto veniva fatto in maniera molto pionieristica, nel senso che si cercava di spendere poco e di guadagnare tanto. Si cercava di approfittare di chi si interessava alla musica per passione – e gratis. Anche le foto erano brutte; le riviste erano stampate male e la qualità della carta era scadente. In questo contesto Popster si presentava come un progetto ambizioso per vari motivi: permetteva ai giornalisti di viaggiare e fare interviste; usava foto di agenzia comprate o scattate da fotografi professionisti che lavoravano per noi. E poi rispettava delle regole giornalistiche di base.

L’intento quindi era quello di proporre un giornalismo musicale “alto”. 
Per capirci, prima, sugli altri giornali, lavoravano persone con poca cultura giornalistica.  Magari molta musicale, ma poca giornalistica. Si era creata una sorta di divisone tra i giornalisti e i giornali “ufficiali” e quelli di musica, come se il giornalismo musicale non dovesse seguire le stesse regole, cosa per cui io mi sono sempre battuto.
Io posso scrivere un pezzo di cronaca su Bowie, ma la struttura deve essere quella classica. Ci sono delle regole da rispettare, e credo che Popster si ispirasse a queste regole. Si facevano interviste lunghissime che non erano mai state fatte prima qui in Italia. Ciao 2001 faceva brevi interviste di una o due pagine, sempre sul disco.

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Dopo la chiusura di Popster, molti dei suoi giornalisti confluirono nel 1980 nella neonata Rockstar, rivista che si occupava non solo di rock mainstream, ma anche di seguire le tendenze più diverse. Rockstar fu la prima rivista a occuparsi in modo concreto e costante della Black Music, immensa categoria che fino ad allora era quasi totalmente snobbata. 

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