Grandi nomi “convocati” dal direttore del Piccolo Claudio Longhi. Obiettivo: un Festival internazionale per il centenario di Strehler e i 75 anni dalla nascita
Come parla al presente un simbolo? Sfidandosi a guardare lontano. Claudio Longhi, neo direttore del Piccolo Teatro, ha deciso di provarci dando inizio, nelle sale milanesi, a un nuovo festival, Presente indicativo. Basta il titolo per tracciare le coordinate di una edizione zero che – dal 4 al 31 maggio, si pone l’ambizioso obiettivo di diventare un appuntamento capace di durare nel tempo.
Si tratta infatti di un Festival internazionale per Giorgio Strehler (paesaggi teatrali); il respiro e la prospettiva di quello che si fregia del titolo di Teatro d’Europa non possono che essere conseguenti, e nel calendario c’è spazio per tutte le creatività più interessanti del Vecchio continente, ma non basta. Lo slancio non può che spingersi molto oltre, e trovare consonanze in vicende personali e creative che sintetizzano appartenenze.
È il caso del franco uruguaiano Sergio Blanco. Protagonista – se non altro per continuità e abbondanza di apporti, visto che porta in scena tre lavori. Zoo (3-4 maggio) El Bramido de Dusseldorf (7-8) e Quando pases sobre mi tumba (10-11). È solo l’inizio di un festival che tuttavia sa spingersi – passando sovente per l’America latina, di Enrico Pansotti e Constanza Macras, o il Brasile di Christiane Jetahy, fino al Burkina Faso, da cui arrivano il drammaturgo burkinabè Aristide Tarnagda e il coreografo Serge Aimeè Koulibaly, ma anche nella Teheran di Parnia Sharms.
Punti di osservazione finalmente non abbastanza esplorati per poter restituire una fotografia realistica di un presente, il nostro, sfilacciato e sofferente. Dentro al quale, da dovunque li si osservi, si riconoscono ferite comuni, in un’assenza di certezze che è timore e ricerca ma anche possibilità di essere in transito, tra le appartenenze e le identità.
Le migrazioni declinano così la molteplicità delle loro forme. Sono sperimentate, analizzate ma anche osservate, con la intensa sincerità con cui Davide Enia racconta i morti del Mediterraneo nel suo Abisso (27 e 28) ma anche portando per la prima volta in scena la voce degli operatori umanitari dans la misure de l’imposible, anche quelle condivise da uno stesso corpo, come evoca Federica Rosellini nel suo Carne Blu rifacendosi a Virginia Woolf (13 e 14) accanto a noti performer europei – da Pascal Rambert (Deux Amis) ai nostri Virgilio Sieni e Mimmo Cuticchio, permette a giovani dalle promesse in gran parte già mantenute di trovare una prestigiosa occasione di riconoscimento e (ri)scoperta.
Quello che Longhi e il Piccolo hanno costruito è un viaggio, un giro del mondo in venticinque giorni che traccia un’ideale atlante di un nuovo teatro, che aveva già trovato consacrazione prima della pandemia è chiamato ad avere oggi nuova energia per ripensarsi. Quella stessa che ha dato i natali al Teatro di via Rovello, pensato, ai suoi albori, per essere uno spazio per tutti capace di andare incontro attivamente al tessuto umano che lo avrebbe popolato.
L’oggi vuole muoversi, quindi, nel segno, di una tradizione che resti solida. E non è un caso che il festival si tenga proprio nel pieno delle celebrazioni per il centenario di Giorgio Strehler e i 75 anni dalla fondazione del teatro. Radici – ancora una volta, appartenenze, in scena e fuori scena: a fine mese i dublinesi Dead Centre re-immaginano Beckett, e il greco Theodoros Terzopulous, anche lui in scena due volte, rilegge Ibsen – che vogliono essere puntelli per trovare la voce non solo per raccontare, il presente del teatro contemporaneo, ma anche, come programmaticamente da titolo, per indicarlo.
La parola d’ordine si direbbe essere, anche a giudicare da questo, pur eloquente, spaccato, sembra essere l’ibridazione. Delle forme, certo, tra la prosa, la performance e la danza, ma anche degli strumenti e delle fonti, se accanto al minimalismo del teatro di parola si accostano evocazioni di Lars Von Trier.
Se una sintesi si può trovare, in un programma così ricco e variegato, composto quasi interamente di anteprime nazionali, è rifiuto della staticità, la nuova urgenza di discutersi e sperimentarsi, come individui e collettivamente, ma con l’obiettivo di decodificare il reale, che sia calandosi nell’attualità dei performer ucraini che abiteranno il chiostro Nina Vinchi, o nell’opera degli artisti che declineranno l’immagine della Città sola in cui abitiamo tutti.
Una sfida ambiziosa e tutta da scoprire, per lasciarsi guidare da rotte tutte da ritracciare. Consapevoli, come scrive Longhi nella sua presentazione, che se una direttrice esiste, è il riconoscimento di una sorta di dimensione del transeunte, dell’andare e del “viaggiare attraverso”: se il paesaggio si identifica col giro dell’orizzonte, con qualcosa che si sposta insieme all’osservatore, non resta che modificare continuamente la linea di approdo”. Qui il calendario completo, per tracciare una propria personale geografia di paesaggi teatrali dai sapori forse diversi da come li ricordavamo o li abbiamo immaginati.