Il famoso musical delle drag queen nel deserto torna in una versione povera ma divertente e gradevole con un bravo Christian Ruiz nel ruolo del papà gay
25 metri di sciarpa d’argento svolazzanti nel cielo del deserto australiano nel film del 1994. 12 metri di mantello argentato per una Drag Queen assisa su una scarpa/trono nel musical prodotto a Sidney, Londra e Broadway, ma anche a Milano nel 2011. Poco più di uno strofinaccio da cucina (però sempre d’argento) oggi sotto la Madonnina nello stesso allestimento che nei mesi passati ha fatto tappa nei principali teatri della nostra la penisola. Bastano queste differenze del momento iconico dello spettacolo per capire il livello dell’attuale messa in scena.
Non più lo stesso trionfo dell’eccesso; le baracconate non più così iperboliche, non la stessa apoteosi di eccessi, il kitsch non viene più celebrato nel medesimo barocco rito. Il quarto protagonista, l’autobus con i suoi mille movimenti ed effetti luminosi, è ridotto a una carcassa sagomata dai led; vengono meno le epifanie con tanto di discesa da cielo a terra delle tre Divas (le dee protettrici delle drag queen) che ora potrebbero esser scambiate per Crystal, Ronette e Chiffon, le ragazze del trio di commento in La piccola bottega degli orrori; sparisce un buon numero di figuranti in costumi da assurdi animali australiani e piante del deserto nel trascinante I Will Survive di fine primo atto, niente scalone nella scena conclusiva; non ci sono le strutture luminose dei ponti di Sidney e della Tour Eiffel… manca non meno del 40% di quella rutilante scenografia e di quell’insieme originale che tanto riempivano la vista e spingevano duro il divertente pedale del paradosso.
Eppure lo spettacolo resta gradevole e godibile anche in dimensione bonsai e dunque a questo allestimento e non a memorie, e impressioni riportate dalla precedente messa in scena, si deve per correttezza far riferimento quando adesso si esprime un giudizio positivo. Se ancora si torna a ridere di gusto e di nuovo si applaude con entusiasmo lo si deve principalmente agli interpreti, primo fra tutti Cristian Ruiz nel ruolo del papà gay che attraversa un intero continente per andare a incontrare il figlio di sei anni che ben poco sa di lui. Ruiz è uno dei performer italiani più completi e più preparati, la sua carriera ce lo ricorda da tempo, ma qui offre sicuramente una delle sue prove più mature, per come riesce ad sfumare le complessità psicologiche del ruolo, per la resa dei tempi comici, per come sa superare le insidie musicali di brani tanto diversi, sia che si tratti di momenti intimi come I Say A Little Prayer o trascinanti come Colour My World. Marco D’Alberti è una Bernadette (Ralf prima dell’operazione) che ha molto ben studiato posture, atteggiamenti e passaggi vocali dell’interprete italiano che lo ha preceduto nel medesimo ruolo e che ora è alfine riuscito a maturarli in modi convincenti e del tutto propri. Riccardo Sinisi, nella parte di Adam alias Felicia, è “la ragazzaccia” del trio sfacciata e determinata, equilibrato mix di atletico e morbidezza in dosi q.b.
E poi ci sono le tre Divas (Loredana Fadda, Elena Nieri rimaste dall’original cast e adesso affiancate da Giovanna D’Angi) dalle voci rock potenti ed estese che da sole valgono la spesa dell’ingresso. Del resto l’intero cast è da omaggiare, ciascun interprete pienamente adeguato al carattere per cui è stato scritturato. Nonostante la taglia small abbiamo ancora un Hot Stuff con clima, colori, ritmi (e un qualche suggerimento politici per leggi attualmente in discussione) che resteranno a Milano per una tenitura inusualmente lunga.
Priscilla Il Musical, al Teatro Manzoni dal 27 maggio