Emma Dante mette in scena la solitudine affollata di un vecchio il giorno dei morti in un delicato ma vorticoso equilibrio di narrazione e coreografia
Emma Dante ancora una volta ispirata da Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile crea o forse potremmo dire cucina il suo nuovo spettacolo: Pupo di Zucchero, in scena al Piccolo Teatro Melato fino al 23 aprile. Ancora una volta la regista crea una coreografia di corpo e parole che si ascoltano, che si contraddicono, che vivono insieme e che muoiono insieme, raccontandoci la storia di una solitudine affollata e di un dolce che non lievita, in una casa un tempo piena di persone adesso piena di polvere, zucchero e farina.
In scena dieci attori, dieci personaggi e dieci storie diverse ma che spesso sembrano un unico corpo un’unica vita. La forza e la potenza degli interpreti domina la scena, spesso
spaccandosi in mille pezzi mostrando la fragilità e la delicatezza di tutti questi personaggi, di questa famiglia, di una madre che attende al porto e dei doni che arrivano dal mare nella sua vita, ma mai quello che sta attendendo.
Carmine Maringola è il vecchio narratore, dovrebbe essere il protagonista, e ci prova mentre evoca i ricordi della sua famiglia, ma quest’ultima lo soverchia, gioca alle sue spalle a volte coinvolgendolo a volte ignorandolo, solo il pubblico vede e percepisce tutto diventando complice dei giochi e degli scherzi di questa famiglia grande e rumorosa
Nancy Trabona, Maria Sgro, e Federica Greco sono Rosa, Viola e Primula, le tre sorelle protagoniste del racconto che fa Carmine Maringola, le tre attrici di una bravura e una finezza non comune, paiono a tratti un’anima sola e a tratti tre pianeti completamente distanti
Non c’è una trama unica e lineare, ma scene di vita quotidiana, anche brevissime: il momento di andare a dormire, le preghiere, un incontro, uno sguardo, una cena, un pranzo in famiglia, aspettare il proprio marito al pontile, pettinare il proprio figlio, abbellire un vestito, giocare con una bambola… sembrano avvenimenti così semplici e banali ma per come prendono vita su questo palcoscenico sono spettacolari, affascinanti e preziosi. Soprattutto preziosi. Perché sappiamo che sono scene del passato, ricordi vividi ma lontani. Niente di tutto questo avviene più bella casa del vecchio, e per questo il valore della quotidianità diventa inestimabile.
Nel nero del teatro emergono i colori di questo spettacolo: il bianco dei capelli del narratore gioca col bianco dello zucchero, le vesti pastello delle sorelle fluttuano morbide di scena in scena, i calzini Rossi di Pasqualino e i capelli ramati della mamma si amano e si odiano, il luccichio delle paillettes strizza gli occhi al pubblico e le vesti da torero dello zio Pedro colpiscono nel segno il cuore di Viola…
L’apparente semplicità della messa in scena è invece costellata di dettagli trattati col massimo della cura, di simboli che si mostrano in continuazione, tra rituali e ripetizioni, fino ad arrivare a un dono: le sculture spaventose e dolci al tempo stesso di Cesare Inzerillo. Opere che reggono la potenza e l’espressione artistica di tutti gli interpreti.
Pupo di zucchero tocca nel profondo, perché il tema che tratta riguarda chiunque la perdita di persone care e il sentirle comunque vicine, l’essenza primordiale di un rituale che sia una processione un funerale o una ricetta.
Foto © Ivan Nocera