I “rapporti di forza” all’interno di un quartetto d’archi, l’accordo con i componenti esterni, l’interpretazione musicale e la melodia in Schubert. Riflessioni via Skype
Intervistare via Skype Simone Gramaglia, violista del Quartetto di Cremona, e Gloria Campaner, una degli astri nascenti del pianismo italiano, è come fare quattro chiacchiere con due vecchi amici che non si vedono da un po’ di tempo. Forse sarà anche il video in bassa risoluzione che rende tutto più informale, ma il ricordo delle cannonate di collo pieno calciate da Giovanni Scaglione, violoncellista del Quartetto, in una piazzetta di un piccolo paesino del centro Italia durante una partita di pallone (fui definito dal maestro “quello che correva tanto”), mi fa pensare che anche dal vivo sarebbe stato lo stesso.
Li ritroveremo martedì 18 ottobre al Conservatorio in Sala Verdi per il concerto inaugurale della Società del Quartetto dedicato interamente a Schubert con l’esecuzione di tre dei maggiori capolavori cameristici del compositore viennese: il quartetto La morte e la fanciulla D 810, il quintetto con due violoncelli D 956 (ospite d’eccezione Enrico Bronzi al violoncello), e il quintetto La Trota D 667 per il quale si aggiungerà Riccardo Donati al contrabbasso.
La cosa che mi incuriosisce di più da pianista è cercare di capire quali sono i rapporti di forza all’interno di un quartetto d’archi. Siamo di fronte ad una democrazia o c’è uno che comanda sugli altri?
Simone Gramaglia – Hai presente l’Italia del ‘500 divisa in tanti piccoli staterelli? Ecco, siamo una cosa simile: quattro piccole tirannie, vicine tra loro, con una propria indipendenza interna, che cercano di andare d’accordo e di non farsi la guerra. L’idea di un “quartetto democratico” mi sembra un’idea un po’ romantica degli ultimi tempi. Detto questo, per evitare di dover affrontare una serie di prove infinite, abbiamo deciso di avere un concertatore principale, nel caso specifico il primo violino (Cristiano Gualco ndr), che ha un’iniziativa primaria sulla quale poi ognuno di noi espone le proprie idee.
Dalle parole di Simone traspare grande soddisfazione per il lavoro di questi 16 anni seppur il percorso di nascita e crescita del quartetto sia stato faticoso.
S. G. – Nel 2000, quando il quartetto è nato, oltre a me e Cristiano, c’erano una violinista torinese e un violoncellista cremonese. Nel dicembre 2001 entrambi hanno deciso di lasciare e sono subentrati Giovanni e Paolo. La fortuna è stata che ci siamo trovati a essere tutti residenti a Genova per cui abbiamo avuto la possibilità di intraprendere quel percorso di studio fondamentale per la formazione di ogni quartetto. Durante i primi 10 anni di vita facevamo 4-5 ore di quartetto tutti i giorni, dal lunedì alla domenica, e ci frequentavamo anche nel tempo libero. Oggi, invece, al di fuori di concerti e prove, cerchiamo di non vederci proprio. Siamo in continuazione insieme ed è necessario avere dei momenti di stacco in cui poter ripulire la mente.
Chissà allora cosa vuol dire inserire in questo sistema una quinta e una sesta personalità come nel caso de La Trota. Il punto sembra comunque essere l’empatia che si riesce a creare tra i musicisti. E quella tra il Quartetto di Cremona e Gloria Campaner sembra totale.
Gloria Campaner – La prima volta che abbiamo suonato insieme è stato 3 anni fa in uno dei concerti del Quirinale. In quell’occasione provammo solo il giorno prima un’oretta; il brano da suonare era il quintetto di Schumann e ricordo che, nonostante la difficoltà della partitura, durante il concerto funzionò tutto perfettamente con un coinvolgimento musicale totale. Dopo quel giorno ci sono state altre occasioni e ci siamo sempre trovati molto bene insieme. Quando si arriva a ridosso di un concerto con le idee chiare e uno studio approfondito della partitura, la prova diventa semplicemente un piacevole scambio di idee che arricchisce ulteriormente il tuo modo di vedere il brano. Con queste premesse, un paio di prove bastano e avanzano per trovare una sintonia perfetta.
Proprio come quella che doveva avere Schubert con uno dei suoi più grandi amici, Johann Michael Vogl, uno dei migliori baritoni dell’epoca, ospite fisso nelle famose schubertiadi. Tra un boccone di wurstel e un sorso di ottima weissbier, avremmo ascoltato i due amici improvvisare frasi accorate dei nuovi lieder e poi ci saremmo lanciati in gioiosi balli non appena il ritmo di una danza avesse trovato spazio sul pianoforte; una vivace alternanza tra musica strumentale e musica vocale dove però la voce sarebbe stata la regina indiscussa.
G. C. – Schubert è il primo che ha inserito il canto, la melodia vera anche nella musica strumentale: nei quartetti, nei trii, nella musica pianistica. Il canto diviene il centro focale nella composizione. Parlando ad esempio della parte pianistica de La Trota, le difficoltà non sono tecniche come in Rachmaninov o Prokofiev. Quella che ti viene richiesta è, invece, una creatività continua, la ricerca di un suono di purezza cristallina capace di trasmettere una freschezza inesauribile, come se la melodia che stai suonando la stessi canticchiando ma non sempre allo stesso modo. La melodia in Schubert è come un motore che deve continuamente rinnovarsi.
Un motore in certi casi talmente potente da essere in grado di “spingere” anche più di una composizione. Il caso forse più famoso è il tema del secondo movimento della sonata D 537 reinterpretato come bagliore nostalgico all’interno del quarto movimento della penultima sonata D 959. Ma è il caso anche del quartetto La Morte e la Fanciulla che riprende il titolo da uno dei più celebri lieder schubertiani composto nel 1817 su testo di Matthias Claudius. Il corale pianistico che funge da introduzione al lied e che accompagna le parole della Morte, diventa il tema del secondo movimento del quartetto dal quale si aprono quattro variazioni dal grande impatto emotivo. Si tratta di un brano che accompagna da molti anni il Quartetto di Cremona e che porta alla memoria anche aneddoti divertenti.
S. G. – Eravamo in Svizzera, era un’estate caldissima. Mi ricordo che lavoravamo questo quartetto in un piccolo appartamentino con il grande maestro Hatto Beyerle, il violista fondatore dell’Alban Berg Quartet. Le finestre erano sempre chiuse perché gli abitanti della cittadina erano molto sensibili ai rumori e non volevano essere disturbati. C’era caldo e un’umidità pazzesca in quella stanzetta, noi suonavamo e suonavamo e Bayerle ci ascoltava 8 ore al giorno fumando un sigaro con un piccolo ventilatore puntato solo verso di sé. Penso che quelli sono stati i giorni in cui abbiamo capito davvero il pathos della Morte e della Fanciulla.
La chiacchierata si sta per concludere ma ho ancora una curiosità. Il programma del concerto di Milano sarà monografico ma nei teatri il futuro sembra orientarsi verso un’altra direzione, verso programmi in cui la tradizione possa combinarsi con il presente o possa rileggersi in percorsi musicali innovativi (un esempio il recente successo di Mito). E Gloria Campaner è musicista che rappresenta al meglio questa “modernità” nella quale il musicista è sempre più chiamato a guardarsi attorno e a non coltivare solo un piccolo orticello.
G. C. – Arturo Benedetti Michelangeli diceva “Una vita intera non basta per fare bene neanche una cosa sola”. Questa frase da sempre dimora dentro di me, mi accompagnava quando ero studente e mi accompagna tuttora nella mia vita professionale. Forse però la lettura più immediata che se ne può fare non è quella migliore. Forse fare bene una cosa sola oggi vuol dire “avere ben chiara la propria strada e il messaggio che si vuole trasmettere”. È impensabile pensare di non essere coinvolti dal mondo che ci circonda, dalla velocità, da internet, dall’aumento dei decibel dati dai sistemi di amplificazione. Questo non vuol dire però farsi sovrastare da tutto ciò che abbiamo attorno. Fin da piccola ho sempre avuto moltissime passioni. Mio papà mi portava a sentire concerti jazz, avevo una rock band, mi sono sempre divertita a fare la dj, ho studiato danza classica e per 10 anni tango. Non ho mai voluto nascondere a me stessa queste passioni, le ho accettate e quando posso cerco di farle rivivere nella mia professione.
18 ottobre 2016 – sala Verdi del Conservatorio – Focus Schubert I, con il Quartetto di Cremona, Gloria Campaner, Enrico Bronzi, Riccardo Donati
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