Eccole: Fanny Mendelssohn, Clara Wieck Schumann, Ethel Mary Smith, Silvia Colasanti. Musica, maestre!
E ti diremo ancora un altro sì…
Le donne non dicono sempre di sì. Come Fanny Mendelssohn, che non si fa intimorire dalle parole del padre, datate 1821: “La musica forse diventerà la sua (di suo fratello Felix ndr) professione, mentre per te può e deve essere solo un ornamento”. Continuerà imperterrita a suonare e comporre, e le sue opere verranno presentate insieme a quelle del fratello nei concerti di famiglia.
Certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui…
Le donne non stanno ferme. Come Clara, una delle più grandi virtuose della tastiera dell’ottocento. Si fa seguire dal celebre marito anche nelle tournée in Russia. E nel 1856, dopo la precoce scomparsa di Robert, elabora il lutto continuando a suonare in giro per l’Europa le sue composizioni, quelle dell’uomo che tanto aveva amato.
Cambia il vento ma noi no…
Le donne cambiano. Come Ethel, che nel 1910 abbandona la carriera da compositrice per dedicarsi completamente alla causa del movimento femminista. Quando Emmeline Pankhurst incita a rompere i vetri delle finestre dei rappresentanti politici anti-suffragio, Ethel, insieme ad altre 108 compagne, lo fa. E in carcere, dalla sua celletta, inclinata sulla finestra, dirige con uno spazzolino da denti le suffragette che marciano cantando nel quadrilatero.
Siamo così, dolcemente complicate, sempre più emozionate, delicate…
Le donne non sono certo solo emotività. «Nella mia musica ragione ed emozione vanno a braccetto», confida a Cultweek Silvia Colasanti . «Nella seconda parte del Novecento, ci sono state esperienze musicali che hanno esasperato la componente razionale delle composizioni. La gestualità che è presente nei miei lavori (repentini crescendo/diminuendo, accelerando/rallentando, ndr), ha il desiderio di tener sempre viva l’idea che la musica non è soltanto pensiero ma anche materia». Attenzione però! «La mia musica non è femmina. Non credo al frequente gioco ‘Ascolta e indovina il sesso dell’autore’. Sicuramente una composizione è specchio di chi la scrive, e in questo specchio c’è anche il mio essere donna. Ma questo non vuol dire che la mia musica rappresenti per forza un tratto di femminilità generale che accomuna tutte noi. Infatti, il superamento di certi intellettualismi del passato è oggi ormai un approccio diffuso. La mia generazione, che ha avuto tra i suoi antesignani Fausto Romitelli, si preoccupa di questa riconciliazione tra mente e corpo». Caratteristiche, queste, evidenti anche nelle sue due composizioni, legate al tema femminile, che saranno presentate all’Auditorium di Milano: To muddy death. Ophelia, che ricalca la morte tragica del celebre personaggio shakespeariano, e La rosa que no canto, tratta da una poesia di Jorge Luis Borges.
Giornate senza fine, silenzi che familiarità…
Le donne non rimangono più in silenzio. «In musica, nel complesso, un processo di emancipazione c’è stato», continua Colasanti. «Gli ostacoli familiari, sociali e culturali che hanno avuto Fanny Mendelssohn e Clara Schumann oggi sono lontani. Nonostante ciò, leggi ancora nello sguardo di alcuni stupore, se non diffidenza, verso una donna che propone musica d’arte». Da cui il sogno: non essere più relegate all’interno di un concerto dedicato, non essere più ricordate solo in occasione di ricorrenze. «Io ho la fortuna di proporre i miei lavori continuamente: con laVerdi, con cui collaboro ormai costantemente, ma anche in molte altre stagioni regolari. Non sono una fautrice delle quote rosa, però sono impaziente di vedere presto sempre più lavori di giovani compositrici all’interno delle stagioni concertistiche, con la stessa naturalezza con cui vengono proposte opere dei miei colleghi uomini». Attendiamo speranzosi…
…nelle nostre notti bianche portaci delle rose, nuove cose…
S. Colasanti To muddy death. Ophelia – La rosa que no canto
E. M. Smith String Quintet in Mi maggiore