Ester non si chiama più Ester, ma Francesca, ed è l’ultima arrivata, l’eccezione nella classe di bambini sopravvissuti alla guerra: sfugge, si sottrae, non parla (però si fa ben capire da chi vuole).
Mentre a Genova le bombe hanno interrotto vita e paesaggio, la maestra Gilla ha deciso si restare a Borgo di Dentro, nella scuola sfregiata e malconcia dopo l’occupazione nazifascista. Per assonanza, coglie nella sua nuova alunna i tratti di un segreto e di una interruzione che sente familiari.
Appena entrato nella dozzina del Premio Strega 2024, il nuovo romanzo di Raffaella Romagnolo è una storia di cura, amicizia, umanità. E scuola.
Forse la scuola, da sola, non può salvare. Ma quanto a sanare le ferite aperte dal destino, non c’è dubbio: l’esercizio quotidiano della sospensione del tempo, quando si è impegnati ad apprendere, a ragionare, a scrivere, a comporre la propria struttura del sapere è – indubitabilmente – un lenitivo potentissimo.
Lo sa Raffaella Romagnolo, che nella scuola lavora, e che fa proprio di una piccola scuola di paese il cuore resistente, umano, scalfito e sereno del suo nuovo romanzo, Aggiustare l’universo, pubblicato da Mondadori.
Ancora una volta siamo in Liguria, ancora una volta Borgo di Dentro è il perno omeostatico dove tutto accade: il paesaggio dispiegato nei precedenti romanzi torna a offrirsi come quinta, lambendo l’esistenza di personaggi che, con le loro scelte e il loro incrociarsi in età differenti, fanno sistema tra paese e città, tra il microcosmo individuale e i macro eventi che tutti investono.
Ci sono, ancora, le vite piccole travolte dall’agguato della Storia: in Destino era l’espianto di una intera generazione sacrificata alla grande emigrazione; in Di luce propria era il naufragio degli ideali del Risorgimento dentro la repressione e l’eccidio milanese capitanato dal generale Bava Beccaris.
Per Aggiustare l’universo, invece, Raffaella Romagnolo sposta le coordinate temporali un poco in avanti: è il 1945, l’Italia è un campo di battaglia, il proclama Alexander ha lasciato per mesi i partigiani alla loro sorte, la guerra appena finita è stata doppiamente sanguinosa poiché ha trasformato in fronte ogni paese, ogni casa, ogni singola vita – vecchia o giovane, non ha importanza.
Sulla bilancia della vicenda pendono agli opposti due vite: da un lato quella della piccola Ester, che non può più chiamarsi con il proprio nome, e dall’altro quella della maestra Gilla, che non può più essere ciò che desiderava. Entrambe vivono dentro a una frattura, e il dolore da cui sono governate comanda a tutte e due il divieto: non vuole Gilla tornare a Genova, dove la famiglia l’aspetta insieme a una casa miracolosamente scampata ai bombardamenti, non può Ester permettersi di tornare a parlare, poiché è proprio la parola l’arma (micidiale) che è stata usata contro di lei.
I ricordi sono come gli anelli di una catenina d’oro, uno attaccato all’altro, ma una catenina è una cosa molto delicata e quando ce l’hai al collo devi fare attenzione a non strapparla e questo vale anche per i ricordi.
È l’anno scolastico (quello dell’ottobre del ’45, iniziato in ritardo per gli strascichi lasciati dalla guerra) a richiedere di subordinarsi a ritmi nuovamente ordinati: quando la campanella suona, è dentro le aule devastate che uomini e donne sono tornati ad essere una comunità che si prende cura del proprio tempo. I calcinacci sono stati rimossi, i tavoli recuperati, il materiale della quotidianità didattica che scarseggia riacquisisce un valore non transitorio e non soltanto funzionale, lo sfregio agli ambienti – che fino a poche settimane prima ospitavano le truppe naziste – assume la gravità di una violazione.
In fondo è anche qui che Raffaella Romagnolo ci conduce: a pensare allo sforzo di quegli uomini e quelle donne di scuola che, in mezzo al disastro, ai traumi personali, alle perdite, alla violenza, ebbero la forza di ricostruire un ambiente educativo per l’infanzia sopravvissuta.
Il tempo che si ferma, per caso o per destino. Il tempo che, con un po’ di pazienza e un po’ di cura, poi riparte.
Il recupero, e il successivo restauro del modellino di planetario a cui Gilla dedica le sue giornate, è il meccanismo su cui poggia questo romanzo di restituzione: mentre la maestra mentalmente immagina e pianifica una lezione per ciascuno dei pianeti da presentare alla sua pluriclasse, si dipana anche la riflessione sul mistero rappresentato dalla piccola bambina muta che ha accolto in aula nell’ultimo posto disponibile.
Nel doppio banco dove viene appaiata a Maria Luisa (la meno brillante e la più periferica del gruppo), Ester viene presentata come Francesca Pellegrini: comunica per iscritto, si rivela estremamente dotata e con una sua sfuggente espressività. L’amicizia tra le due bambine, dapprima guardinga, in tutto speciale, diventa il grimaldello per scardinare ciò che sta dietro al silenzio.
Ricostruire il suo passato, riannodare i nodi dei ricordi taciuti, capire il segreto del suo presente prima che si trasformi in dramma diventa l’asse portante sul quale, tra flash back e documenti, si riavvolge la catena di causa ed effetto della storia dell’Italia fascista: le leggi razziali, i razionamenti, Genova come area bombing, le disposizioni del regime contro i cittadini ebrei, le occupazioni, il carcere, le deportazioni, i tradimenti e le divisioni, la resistenza in montagna, gli amori cancellati.
Riaggiustare una piccola vita diventa, così, riparare un possibile futuro – e fare pace con il proprio presente.