…E non ne è valsa affatto la pena. Perché il divismo riduce a feticcio una Madonna con un Bambino in vitro.
“Regalatevi un buonissimo Natale”: con questo slogan una nota marca di caffè finanzia i restauri del monumento a Leonardo realizzato da Pietro Magni in Piazza della Scala. Dentro alle impalcature il Vinci e i suoi discepoli si staranno chiedendo cos’è quel brusio che da giorni li tormenta senza sosta. Si tratta della lunga coda che continuamente si rigenera per la mostra “Raffaello. La Madonna Esterházy”, allestita nella sala Alessi di Palazzo Marino e curata da Stefano Zuffi.
L’evento rientra in quella serie di esposizioni natalizie con prestiti eccellenti, promosse dal Comune di Milano da diversi anni. Questa volta tocca alla piccola Madonna di Raffaello, proveniente da Budapest, che deve la sua notorietà più a un rocambolesco furto di cui è stata vittima che non al proprio valore artistico. Le fanno da cornice la Vergine delle Rocce attribuita a Francesco Melzi, di proprietà delle Orsoline, e la Madonna col Bambino di Boltraffio del Poldi Pezzoli.
La prima opera che si incontra è la dignitosa copia leonardesca di Melzi, di cui colpisce l’uso di un blu profondo, che in parte tornerà in Raffaello. Ci si chiede come sia stato possibile che, qualche anno fa, qualcuno l’abbia potuta scambiare per una terza, autografa, Vergine delle Rocce. Cecità o dolo?
Segue la raffinatissima Madonna di Boltraffio, irta di spine, tra i cardi broccati della sua veste e la rosa che sta per cogliere il Bambino. Si arriva, così, alla tavoletta dell’Urbinate. Qui l’idea di natalità, quasi prematura, traspare soprattutto dal contrasto tra l’incompiutezza delle piccole figure e il rumoroso ambiente che gli è stato costruito attorno, tanto da farle sembrare dei gracili embrioni in vitro.
L’accostamento tra la tavoletta di Budapest e i due lavori leonardeschi, rende merito all’influenza di Leonardo su Raffaello, ma in modo molto casuale. L’allestimento, poi, consono nei fondali e attento nell’illuminazione, pare però eccessivamente ingombrante: è un peccato non poter misurare la spazialità della magnifica sala cinquecentesca. Discutibili sono anche le visite guidate obbligatorie, e lo sbrigativo video finale.
In definitiva è un evento che lascia diverse perplessità nonostante alcuni spunti interessanti, soprattutto quando ci si rende conto che questi ultimi sono dati dalle opere in sé: anche se la Madonna di Raffaello è un lavoro di transizione e incompleto, e quello di Melzi è sconosciuto ai più, ciò che davvero non convince è il contesto generale.
Corrono alla mente, uscendo, le parole di Roberto Longhi che, proprio nel suo Percorso di Raffaello giovine, auspicava ad una maggiore sobrietà nella trattazione dei “grandi”, perché, proprio in quanto tali, possono essere fraintesi da facili retoriche di genialità e diffusi fenomeni di divismo.
“Raffaello. La Madonna Esterházy”, Palazzo Marino, fino all’11 gennaio 2015.
Foto: Raffaello, Madonna con il Bambino (Madonna Esterházy) [part.], 1508, Budapest, Szépművészeti Múzeum.