Forse non all’altezza dei suoi film migliori, “Regression” affronta comunque, e con convinzione, temi importanti, a cavallo tra psicologia, memoria e delitto
Ispirandosi all’ondata di “abusi satanici” che infestava (e infesta) l’America il regista cileno Premio Oscar Alejandro Amenábar (Mare Dentro, 2005) presenta un’opera che ha il gusto della dichiarazione di poetica. Regression infatti, oltre a essere il nome di una tecnica psicologica utilizzata nel scorso secolo per il recupero di ricordi obliati dall’Io conscio, segna il suo ritorno alla suspense psicologica, genere che segnò il suo debutto nel 1996 in Tesis. Una tendenza proseguita con Apri gli occhi (1997) e The Others (2001) e momentaneamente abbandonata per Agorà, incursione nel genere storico.
Regression, inaspettatamente stroncato quasi all’unanimità dalla critica, ha invece il merito di non voler diventare la moderna evoluzione di horror americani anni 60-70 come Rosemary’s Baby o L’esorcista, della cui suspense lenta e moderata si nutre tuttavia perfettamente. Amenábar si muove dentro il ben più affascinante campo dei labirinti della mente, dipinto come l’organo più orribile e affascinante, capace di condurre l’uomo all’orrore più delizioso e alle false credenze. Si narra la vicenda di Bruce (Ethan Hawke), detective del Minnesota convinto che una minorenne dall’emblematico nome di Angela (una fiacca Emma Watson) sia vittima di abusi e riti demoniaci da parte del padre. L’accusato sarà “guidato” dal dottor Raines (David Thewlis), un luminare del recupero dei ricordi perduti, nel percorso di reminiscenza. Ma ad emergere non saranno memorie sepolte, bensì orribili verità.
Regression esplora il tema, tanto affascinante quanto delicato, dell’elaborazione e della creazione di falsi ricordi, una realtà a cui il cinema schiaccia l’occhio dai primi film sulla triste vicenda delle streghe bambine di Salem ai più recenti casi di abusi sessuali sui minori. E il vanto dell’opera è chiedersi se sia possibile convincere qualcuno di aver commesso un reato mai avvenuto, una questione oggetto di numerose ricerche scientifiche, non ultima quella condotta di recente dall’Università del Bedforshire e dalla British Columbia. Più in generale, Amenábar ha il merito di interrogarsi sul danno e l’utilità della psicologia per l’uomo odierno: nel film il valore assoluto di tale disciplina viene fatto vacillare dalla labile contrapposizione tra la certezza scientifica dello psicologo e le credenze di fede (e superstizione) del Reverendo Beaumont.
Un tentativo rischioso per un regista i cui lavori più recenti vivono della luce di glorie passate. Le critiche sorgono spontanee, figlie della perfezione stilistica e contenutistica raggiunta solo pochi anni fa, e sfortunatamente sono accresciute da un’atmosfera filmica che non mostra le grandissime capacità di un gran regista come Amenábar.
Regression, di Alejandro Amenábar, con Ethan Hawke, Emma Watson, David Thewlis