Una lettura intrisa di spiritualità ma anche di precisione faustiana quella che il direttore d’orchestra greco-russo ha dato del Requiem di Verdi nella chiesa di San Marco ospite della Società del Quartetto
Con un colpo di scena la Società del Quartetto ha strappato un Requiem di Verdi in San Marco niente meno che al direttore più temerario in circolazione, Teodor Currentzis, che venerdì scorso ha aggiunto una tappa alla tournée con la sua orchestra musicAeterna e il coro dell’opera di Perm (da cercare tra gli Urali). Una serata che ha anche permesso al direttore una ripresa video nel luogo controllato e garantito in cui il brano si è sentito la prima volta, nel 1874, diretto da Verdi stesso in memoria di Manzoni, morto l’anno prima.
Forse non si può ancora dire che questo vate greco-russo sia di casa a Milano, ma è già la terza volta che si è fatto vedere (e ascoltare) in un anno, visti i due passaggi precedenti alla Scala, con Mozart e Beethoven nella stagione della Filarmonica e con il concerto tutto Mahler di pochi mesi fa. Sempre con i suoi adepti professori di Perm tirati su, così pare, a massacranti prove e controprove a cui oggi pochi orchestrali si sottoporrebbero senza protestare. Con prevedibile imprevedibilità del risultato, tanto che la critica sarà forse divisa nel giudizio (va detto che lo è sempre meno), ma è unanime nel constatare l’eccezionalità di queste esecuzioni: brani spesso notissimi presentati ogni volta in forme sorprendenti, ma mai gratuite. Ed è proprio questo il punto.
Currentzis dirige il “suo” Requiem: anomalo, manco a dirlo, e privo della brutalità e della disperazione che normalmente ci si aspetterebbe da questa pagina. Eppure si tratta di una lettura profondamente intrisa di spiritualità. Di una spiritualità quasi scientifica, per il virtuosismo e la chiarezza, o meglio per il virtuosismo della chiarezza con cui Currentzis sa condurre orchestra e coro mantenendo sempre la stessa energia, la stessa tensione dall’inizio alla fine del brano, senza mai perdersi nel dettaglio, nella cavillosità di quelle esecuzioni non ingenue che, molto spesso, sono tanto dotte quanto fredde. Allo stesso tempo però il fuoco di Currentzis, la sua irrazionalità, è davvero “more geometrico”: certo si tratta di una direzione a effetto, fatta per stupire, forse se stesso prima ancora del pubblico. Ma non c’è traccia di quell’approssimazione in cui spesso cadono le direzioni più drastiche e invasate. Al contrario quello che più colpisce è la diabolica, faustiana precisione di ciascuno di questi effetti. Alcuni saranno forse al limite del Kitsch, ma non c’è dubbio che Currentzis riesca a renderli persino necessari alla continuità del lavoro. Di certo con questo Requiem siamo lontani da qualsiasi crepuscolo della provvidenza manzoniana, ma poco importa: semplicemente a Currentzis interessa altro, come si intuisce dalla teatralità e dalla suspense che sa costruire in tanti passaggi, con atmosfere che partono ieratiche, alla Musorgskij, per arrivare direttamente a Nono e oltre.
Quanto ai solisti, come già si era capito nel recente concerto mahleriano alla Scala, le voci secondo Currentzis vanno incastonate nella trama orchestrale. Quindi non conta tanto la sontuosità vocale, quanto la capacità di un cantante di entrare in organico come uno strumento. Anche se poi nel Requiem è difficile funzionare quando arrivano le arie vere e proprie: in questo senso il soprano Zarina Abaeva e il mezzosoprano Ève-Maud Hubeaux hanno tecnica e personalità per risolverle. Sono parsi invece più in difficoltà il tenore Dmytro Popov e il basso Tareq Nazmi.
Veniamo infine allo spettacolo nello spettacolo, vale a dire alla ritualità più comica che ieratica che si è tentato di costruire intorno al concerto del vate, sotto il cinico sguardo del pubblico milanese che non è parso poi così impressionato dalla processione di coristi e orchestrali in saio. Per non dilungarci poi sul prete in pulpito, sul Vangelo in latino o sulla proibizione di applaudire (peraltro non eccezionale per un Requiem in San Marco). Insomma circolava forse più irritazione che timore e tremore. Così, se per i contenuti musicali di Currentzis possiamo stare tranquilli, per l’involucro o, alla milanese, per “l’evento” c’è ancora molto lavoro da fare.
Immagine di copertina © Anton Zavjyalov