Il protagonista del film di Denis Imbert, tratto da un libro autobiografico dell’autore e viaggiatore francese Sylvain Tesson, è uno scrittore famoso: un uomo spavaldo, un impenitente seduttore che dopo aver rischiato la vita decide di ripartire da una folle scommessa. Attraversare a piedi la Francia profonda, tra sentieri poco battuti di montagna, lungo mille e trecento chilometri. E Jean Dujardin, attore poliedrico e interprete magnetico, tiene sempre con forza il centro dell’inquadratura
Pierre, il protagonista di A passo d’uomo del regista e sceneggiatore francese Denis Imbert, è uno scrittore famoso, un uomo spavaldo, un impenitente seduttore: si sente padrone del mondo e come tale si comporta, fino a rischiare la vita nel modo più stupido. E ritrovarsi bloccato in un letto d’ospedale per lunghi mesi, con le ossa rotte e il morale a pezzi. Come reagire? Come riprendersi dopo una simile disastrosa caduta, fisica e psicologica? Ancora e sempre buttando il cuore oltre l’ostacolo, rimanendo fedeli a sé stessi, al proprio personaggio, e però dandosi il tempo, e lo spazio mentale, per cercare di fare qualcosa di diverso, sperimentare un nuovo modo di essere.
Nasce così nella testa di Pierre l’idea di una folle scommessa. Se riuscirà a riprendere l’uso delle gambe, tenterà una vera e propria impresa: camminare per 1300 chilometri attraverso la Francia profonda, percorrendo sentieri poco battuti, salendo e scendendo montagne, mettendo un piede dopo l’altro, con ostinazione e fatica, in perfetta solitudine. Un’impresa che lo condurrà a rimettere in discussione tutto ciò che gli sembrava assodato, e gli regalerà un nuovo sguardo sul mondo e soprattutto sulla natura.
Un film sul camminare come filosofia di vita, tratto dal libro autobiografico Sentieri neri (Sur les chemins noir il titolo originale, sia del film che del libro, in Italia pubblicato da Sellerio) dello scrittore e viaggiatore francese Sylvain Tesson, già protagonista insieme a Vincent Munier del documentario La pantera delle nevi, girato in inverno in Tibet, a 5000 metri di altezza. Camminare per ritrovarsi e ricominciare, per riparare gli errori, scoprirsi diversi, trovare un senso. Camminare per guarire le proprie ferite e imparare ad ascoltare, per fermarsi e finalmente ripartire. Magari col piede giusto.
Un film che conquista per la sua grazia un po’ randagia, sottile e spigolosa, per questo mettere in scena il rapporto tra uomo e natura come una lotta impari eppure magnifica, vitale, irrinunciabile. Un film affascinante, malinconico, trascinante, anche e soprattutto perché al centro dell’inquadratura c’è sempre lui, Jean Dujardin, attore poliedrico e interprete magnetico. Non un grande film, ma dall’inizio alla fine un’esperienza significativa, capace di farci immaginare come potrebbe essere – per tutti noi, se un giorno ce ne venisse la voglia, o ne sentissimo davvero la necessità – la scoperta della lentezza, del viaggio come cammino, della libertà come ricerca. E forse redenzione.
A passo d’uomo, di Denis Imbert, con Jean Dujardin, Joséphine Japy, Izïa Higelin, Anny Duperey, Jonathan Zaccaï