Che senso ha leggere Dante oggi? Lo abbiamo chiesto agli intellettuali milanesi che hanno riletto tutta la Divinina Commedia a corso como 10
Almeno dal 1870-71, con l’uscita della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, se si pensa alla cultura italiana uno dei primi nomi che vengono in mente è quello di Dante. Quest’anno si festeggiano il 750esimo anniversario della sua nascita e le iniziative per ricordarlo e commemorarlo sono state molteplici. È nato, per esempio, il progetto Dante750 che ha celebrato il poeta fiorentino davvero a 360°, dal cinema, all’ologramma, ai convegni.
Non è un caso, poi, che uno dei finalisti dello Strega 2015 fosse proprio quel Marco Santagata di Come donna innamorata, romanzo su un Dante intimo, fragile, tormentato dall’amore e dall’ambizione.
Fra le varie iniziative, ieri la Divina Commedia è uscita dalle aule per far sentire la sua voce in Corso Como, a Milano. Un “paradiso” della moda, dell’happy hour e della gastronomia ha ospitato cento voci che hanno letto un canto ciascuno, facendo rivivere l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso dantesco: cento voci intellettuali disparate, da Cecilia Strada a Walter Siti, da Nando Dalla Chiesa a Bianca Pitzorno, a “Milano per Dante”, un progetto per leggere e rileggere Dante, per portare Dante incontro alla città. Ognuno ha messo la propria esperienza nel leggere il canto assegnatoli, voci diverse ed eterogenee per restituire una Divina Commedia dalle mille sfaccettature.
La nostra Federica Lauto ha intervistato Alberto Cristofori, ideatore dell’evento in collaborazione con l’Associazione Progetto Fior di Loto Onlus, impegnata nell’aiuto alle bambine di Calcutta e con 10 Corso Como.
Alberto Cristofori, perché portare Dante a Milano?
Corso Como è legato nell’immaginario collettivo alla moda, alla movida e noi lì andiamo, coerenti con Dante, che non andava nelle aule universitarie, ma amava i pettegolezzi e le chiacchiere. Facciamo questa cosa non per erudizione letteraria. Ho coinvolto non letterati e non attori proprio per sottolineare il valore universale della cultura. Noi siamo la società civile milanese, che compie un gesto per dire che non di solo pane e di sole banche vive l’uomo.
Inoltre, questa è un’impresa collettiva: ci saranno lettori più e meno bravi, più e meno “dantisti”, ma tutti avranno il loro spazio, come in un coro. Se la giornata riesce, riesce proprio per la varietà delle voci, delle intonazioni, delle letture. L’idea è che non ci sia un modo giusto per leggere Dante, ma tanti, ognuno con la propria importanza.
Dante è ancora interessante oggi?
Dante è il più grande dei nostri poeti e il più attuale dei “classici”. Certe sue affermazioni sembrano scritte ieri: il compianto sul degrado dell’Italia, le invettive contro l’usura. Pensiamo alle riflessioni sul suicidio (Catone finirà in Paradiso) o sull’omosessualità (nei confronti di Brunetto Latini l’atteggiamento è di “reverenza”).
Dante vive in un momento di rapida trasformazione economica e sociale che interpreta come decadenza e crisi. Usa tutti gli strumenti intellettuali che ha e va a fondo di tutti i problemi che affronta, senza spaventarsi se deve offendere un potente o mettere una bestemmia in bocca a un dannato. Ma pur avendo una visione così negativa del suo tempo, si apre al futuro, scommette sul volgare contro il latino, inventa nuovi strumenti espressivi, cerca nuovi lettori, si fa “divulgatore” di filosofia e di scienza.
Ma può davvero essere comprensibile e, diciamolo, lo è mai stato?
La Divina Commedia ha iniziato a essere annotata subito dopo la morte di Dante e a una generazione di distanza certi riferimenti risultavano già oscuri. Non è un difetto dell’opera, ma una sua caratteristica: Dante scrive per cambiare i lettori a cui si rivolge e nella sua ansia di totalità, nel poema, mette dentro tutto: il mito e la cronaca nera, la storia antica e moderna e il pettegolezzo triviale, gli arzigogoli della teologia e la sua vita personale. E dove vuole risultare oscuro usa il linguaggio allusivo delle profezie.
Si deve distinguere fra lo studio della Commedia e la sua lettura. Se leggiamo, qualcosa resta oscuro, e in parte va bene così – c’è un piacere nel non capire che i professori vorrebbero negarci, ma che è fortissimo. Qualche spiegazione è utile, ma quando so che “nel mezzo del cammin di nostra vita” vuol dire a 35 anni, è sufficiente, non ho bisogno di due pagine di note con rimandi alla Bibbia, alla medicina medievale e alle opere minori di Dante.
Cosa pensi del modo in cui viene insegnata La Divina Commedia a scuola? Io mi ricordo delle sonore ronfate.
Nella scuola Dante si studia e non si legge. I professori non si rendono conto in molti casi che i loro allievi non devono diventare dei letterati, ma delle persone mediamente colte e con le migliori intenzioni, fanno un cattivo servizio a Dante e agli studenti. Dico con le migliori intenzioni perché l’insegnante “noioso” pensa di avere una nobile missione, quella di educare all’analisi puntigliosa del testo. Però, soffermandosi su ogni dettaglio, non si accorge di perdere per strada la cosa più importante, e cioè la narrazione: la Divina Commedia è un grande romanzo e in una narrazione il ritmo è fondamentale. Non ci si può fermare per ore su ogni terzina. Se si legge come un romanzo la Divina Commedia si rivela un’opera vivacissima, piena di suspense, momenti comici, colpi di scena – tutte cose che la lettura scolastica annienta.
A ben vedere Dante oggi può ritrovarsi nei posti più impensabili: “Tutti prima o poi ci siamo imbattuti in una illustrazione di Gustave Dorè. Quelle nella Divina Commedia, per esempio, sono le sue ma molti lo ignorano così come ignorano che il vigoroso culturista da lui dipinto nel fiume Stige ( Inferno, canto VIII ) sia Filippo Argenti, vicino di casa di Dante. Il sommo poeta distrugge il dirimpettaio con un dissing violentissimo. Ora il microfono passa ad Argenti..”
Così Caparezza introduce Argenti vive, uno dei brani contenuti nel suo ultimo album, Museica:
Dante dunque ancora oggi sembra essere un pozzo inesauribile da cui attingere per qualsiasi cosa, dai videogiochi (come Dante’s Inferno), ai Manga e anime (come One piece e I cavalieri dello zodiaco). Ma le sue parole possono essere ancora oggi attuali? Cosa ci dicono? Lo abbiamo chiesto ad alcuni dei lettori di “Milano per Dante”.
Il professore Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoterapeuta, ha definito il famoso canto di Paolo e Francesca un Requiem nostalgico all’amore romantico, che finiva sempre male.
Gabriele Dadati, scrittore ed editor, legge il canto XIX del Purgatorio, il canto della femmina balba, dolce serena nella realtà orrenda, ma che appare in sogno a Dante bella e seducente. “È un canto sull’apparenza e sui rischi del confidare nell’apparenza – ci ha detto Dadati – dunque, è un possibile antidoto ai nostri giorni, che beccheggiano tra il fidarsi troppo e il fidarsi troppo poco”.
Più critico è il parere di Giuseppe Genna, che – ci racconta – non si è lasciato andare alle solite ipocrisie sulla pedagogia di massa. A lui è stato assegnato il canto XXIX dell’Inferno, qui Dante è nell’ottavo cerchio, fra la nona e la decima bolgia, dove sono punti i falsari e i seminatori di discordia: “A mio parere, in Italia e oggi, a Dante non viene concessa chance alcuna di parlare del e nel presente. La rilettura di Dante è un atto di autosoccorso che ciascuno dovrebbe compiere per comprendere cosa sia il mondo, cosa sia la storia, cosa sia la lingua, cosa sia la poesia e cosa sia la narrazione – del che, mi pare, la grande massa è disinteressata, mentre sfuma definitivamente il concetto di cultura popolare, affidata a istantaneità che, della Divina Commedia, possono cogliere l’estetica della location, per nuovi giochi ologrammatici”.