In “Falling” l’ottimo attore Viggo Mortensen debutta nella regia raccontando il rapporto difficile tra un padre e un figlio (Lance Henriksen) che finisce per diventare una metafora degli States di oggi. Il giapponese Ryusuke Hamaguchi ha vinto l’Orso d’Argento alla Berlinale 2021 ricamando sui complessi intrecci sentimentali che si confessano due amiche, un raffinato film che ricorda Rohmer
Non hanno molto da dirsi Willis e John, i protagonisti di Falling – Storia di un padre, esordio alla regia di Viggo Mortensen. Padre e figlio, Willis (Lance Henriksen) e John (lo stesso Mortensen) forse si sono voluti bene, a tratti, ma di certo non si sono mai capiti. Figlio dell’America rurale e reazionaria, chiusa nelle sue abitudini antiche e nei suoi invincibili pregiudizi, Willis ha passato l’intera esistenza nella sua fattoria isolata, contento di sé a volte, più spesso ferocemente scontento, ma sempre convinto che nessun’altra vita fosse possibile da nessun’altra parte. Ormai è un uomo anziano e fragile, con la mente capricciosa, indebolita dalla malattia, che spesso si perde nei ricordi e non riesce a distinguere tra passato e presente, realtà e sogni, o forse incubi.
John ha invece radicalmente scelto un’altra vita, prima diventando pilota d’aereo e poi trasferendosi in California, per mettere su famiglia con il compagno Eric e la figlia adottiva Monica. Una scelta, anche a distanza di anni, del tutto inaccettabile per suo padre. Ma il vecchio Willis non è più in grado di vivere da solo e John si trova costretto ad accoglierlo in casa sua, Però la convivenza si rivelerà da subito impossibile. Troppi nodi verranno al pettine, catene infinite di parole non dette, paludi di vecchi rancori e nuove incomprensioni.
Viggo Mortensen, attore meraviglioso – quando non si dedica con talento alla pittura, alla fotografia, alla musica e alla poesia – si mette per la prima volta dietro la macchina da presa e colpisce nel segno. Non perché riesca a realizzare un capolavoro, ma perché sa scrivere e filmare una storia toccante, capace di coinvolgere e commuovere, nonostante le tante imperfezioni. Come ha rivelato lo stesso Mortensen, si tratta di un racconto intimo, anche se non direttamente autobiografico, che attinge a remoti ricordi d’infanzia, a partire dal recente dolore per la perdita dell’amata madre.
Un film quieto e impetuoso, che procede con passo pacato e sguardo energico sulle tracce dei sogni perduti, cercando un nuovo possibile equilibrio fra visioni pur contrastanti del mondo e degli uomini che lo abitano. Anche e soprattutto un ritratto dell’America di oggi, divisa tra anime inconciliabili e steccati ideologici che nemmeno l’amore è in grado di superare, perché nemmeno i ricordi sono davvero condivisibili.
Falling – Storia di un padre di Viggo Mortensen, con Lance Henriksen, Viggo Mortensen, Terry Chen, Sverrir Gudnason, Hannah Gross
Ritorno al cinema 2/ Il gioco sfuggente della vita e dell’amore
«Non pensavo che una conversazione potesse essere tanto erotica. Ci siamo accarezzati con le parole». È un amore che nasce? Sembrerebbe di sì, a giudicare da questo brandello di dialogo tra due ragazze in taxi – protagoniste del primo episodio di Il gioco del destino e della fantasia di Ryusuke Hamaguchi, meritatissimo Orso d’argento all’ultima Berlinale. Una ha trovato l’amore, forse. Di sicuro racconta un incontro speciale, di anime e sentimenti, ben prima che di gesti e corpi. Ma non tutto è come sembra. E proprio l’amica che raccoglie la gioiosa confidenza potrebbe rivelarsi una rivale. La più subdola. O forse soltanto immensamente infelice e scontenta di sé e delle proprie scelte.
Il gioco delle apparenze, della vita e dell’amore come labirinti, tanto affascinanti quanto inafferrabili, prosegue e si dilata nel secondo e nel terzo episodio di questo film antologico con il quale l’autore giapponese conferma definitivamente le sue doti di narratore dalla mano leggera e dallo sguardo affilato. In apparenza Hamaguchi si diletta infatti a mettere in scena coincidenze e sorprese, rivelazioni e agnizioni, come se a contare davvero fossero solo il ritmo divertito del racconto, la meravigliosa fluidità dei dialoghi, la luce fluttuante che illumina prima un dettaglio e poi l’altro.
Come se niente, davvero, potesse far male, ferire, lasciare il segno. In realtà non è così. E la ruota della fortuna, sempre in bilico tra passato e presente, inevitabilmente protesa verso un futuro indecifrabile, si rivela ben presto crudele, anche quando l’esito finale si mantiene lontano dai territori della tragedia.
Cinema di grande intensità, fatto di sguardi e soprattutto di parole, che si nutre di ambiguità e paradossi, segreti e scoperte, all’interno di un approccio che rimane sempre profondamente umanista. Dei tanti autori citati a proposito e a sproposito, parlando di Hamaguchi, secondo me l’influenza più evidente è quella di Eric Rohmer, insuperabile maestro di un cinema che si finge trasparente e si rivela vertiginosamente enigmatico.
Il gioco del destino e della fantasia di Ryûsuke Hamaguchi, con Kotone Furukawa, Kiyohiko Shibukawa, Fusako Urabe, Ayumu Nakajima, Hyunri