Approda alla Fondazione Prada di Milano “Storytelling”, mostra personale di Liu Ye, classe 1964, ideata da Udo Kittelmann e già esposta nella sede di Shanghai. Include 35 dipinti realizzati dall’artista cinese dal 1992 a oggi
Venerdì 5 giugno Fondazione Prada ha riaperto al pubblico.
Non ho potuto resistere alla tentazione di tornare a visitare una mostra dopo così tanto tempo, e al solito senso di curiosità che mi accompagna quando vado a vedere una nuova esibizione si aggiungeva quello di provare a capire come il mondo delle mostre e dei musei si fosse adattato alla situazione attuale.
Per visitare la fondazione occorre prenotare l’orario di visita in modo da non affollare le sale, indossare la mascherina e seguire il percorso indicato cercando di reprimere il desiderio di perdersi tra le opere, di seguire un ordine diverso da quello prestabilito, per evitare di interagire con le altre persone all’interno degli spazi.
Quello che nasce come un evento pubblico diviene un momento privato. Inteso sia come aggettivo che come verbo. Privato in quanto personale e privato del lato condiviso della fruizione dello spettatore, dove osservare le reazioni altrui può accendere nuovi stimoli e collegamenti che arricchiscono la propria esperienza.
In una splendida giornata di sole, il non vedere le persone passeggiare tra gli alberi di fichi che costeggiano il cortile e scorgere da lontano ciocche di capelli che corrono via contribuisce ancor di più a rendere la situazione kafkiana.
In questo scenario mi trovo a visitare per la prima volta “Storytelling”, la mostra personale dedicata a Liu Ye, artista cinese classe 1964. Il nome mi accende una sensazione a cui non so dare forma, quel sentimento che si prova quando il tuo subconscio è riuscito a creare una connessione che il tuo lato logico non riesce a elaborare. La curiosità cresce.
Liu Ye è un artista che a un primo sguardo superficiale sembra molto poco cinese. Mancano i riferimenti espliciti alla cultura orientale, e manca anche la critica sociale che caratterizza la generazione di artisti che ha visto coi propri occhi la protesta di Tien’Anmen.
Entrando nello spazio espositivo, che ospita 35 dipinti dell’artista, ci si immerge subito in un mondo onirico e fiabesco. I protagonisti dei quadri di Liu Ye sono un ponte tra oriente e occidente; personaggi appartenenti alla cultura popolare europea, come Pinocchio, Romeo e Giulietta, o La piccola Fiammiferaia, che tuttavia sono decontestualizzati e isolati dal loro ruolo collettivo e cristallizzati in un momento di intimità, spesso malinconica, in cui ci si immerge immediatamente. L’effetto infatti non è un semplice riportare alla luce i ricordi di infanzia; l’artista ce li fa rivivere in un modo nuovo, mostrando con uno sguardo adulto e maturo i personaggi estratti dal loro mondo.
Quello dell’immersione visiva è un tema molto caro alla cultura cinese, che vede il quadro non come una finestra sul mondo, come tradizionalmente l’ha interpretato la cultura occidentale, ma come una porta verso un altro mondo. Basti pensare alla leggenda del pittore cinese, ripresa tra gli altri da Walter Benjamin per la prima volta in Infanzia Berlinese e poi ancora ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.
La leggenda parla di un pittore cinese, Wu Tao-tzu (680-740), che su commissione dell’imperatore dipinse un panorama di montagna su una parete del palazzo. Quando terminò il lavoro, lo invitò ad ammirare l’opera compiuta, e gli disse di guardare con attenzione tutti i dettagli. Egli si avvicinò sempre più alla parete, fino a scorgervi una porticina; entrò nel quadro, e il pittore dopo di lui, e non ne fecero più ritorno.
Guardando le opere di Liu Ye si ha la stessa sensazione. Sebbene siano personaggi a noi noti, la loro storia che nel nostro immaginario appartiene alla finzione ci appare così reale e quotidiana da invitarci al suo interno, assorbendoci in essi.
Terminata la serie dedicata alle fiabe e alle favole della cultura occidentale, si presenta davanti agli occhi dello spettatore la serie dedicata ai libri. Un mezzo sorriso si abbozza sul mio viso; sono riuscito a dare un nome a quella scintilla che mi era scattata in mente quando avevo letto il nome dell’artista per la prima volta.
Proprio a quella serie apparteneva uno dei quadri più curiosi in cui mi ero imbattuto alla penultima biennale di Venezia, quella tenutasi nel 2017.
Si trovava proprio all’inizio dell’esposizione principale all’interno dei Giardini, in un padiglione creato ad hoc nominato “Padiglione degli artisti e dei libri”. La minuzia con cui Liu Ye dipinge questi libri aperti porta all’apice il senso di immersione che si percepisce all’inizio. Vedendoli da lontano non sembrano affatto dipinti. E solo adesso, conoscendo la sua storia, ne capisco il senso politico. Sono quei libri che da ragazzo nascondeva sotto il letto perché proibiti, strumento di libertà e ribellione silenziosa: anch’egli ha quindi affrontato i temi della lotta sociale, trasponendola semplicemente dal piano della lotta quotidiana e pubblica a quello dell’evasione privata e intima.
A pensarci bene, vedere questa mostra in questo ambiente solitario e rarefatto giova alla comprensione. Manca sì la relazione con gli altri visitatori, ma risuona più forte il messaggio dell’artista, la sua storia da raccontare, attraverso i suoi personaggi e i suoi libri.
Il suo Storytelling, per l’appunto.
Uscendo dalla mostra mi fermo per un attimo dinanzi al cinema ospitato all’interno della fondazione, dal cui interno sento le voci ritmate di un film non segnalato al di fuori. “Mi scusi, che film danno?” “È un film di Orson Welles. E mi raccomando, si tenga la mascherina e si sieda unicamente sui posti che non sono contrassegnati con una X”
Mi siedo al buio, mentre mi abituo all’idea di dover vedere una pellicola con la visuale periferica limitata dalla mascherina che indosso. Sono entrato a fine proiezione, e faccio fatica a comprendere di cosa si tratti.
Scorrono i titoli di coda. Orson Welles, Il processo. Da un libro di Franz Kafka. Sorrido di nuovo.
Liu Ye. Storytelling, a cura di Udo Kittelmann, Milano, Fondazione Prada, fino al 10 gennaio 2021.
Immagine di copertina: Liu Ye, Bauhaus No.5, 2018, acrilico-su-tela. Collezione privata Pechino. Courtesy Fondazione Prada. Photo Yang Hao.