Ritorna nelle sale dell’Elfo Puccini Il Padre diretto da Gabriele Lavia per la terza volta dopo gli allestimenti del 1976 e del 1990. Tra applausi, innumerevoli chiamate e qualche nostalgica madeleine di certe signore del pubblico milanese perché il tempo passa. Per loro e per Lavia. Un ironico Capitano, a tratti velleitario a tratti maniacale, tradito dalla sua Onfale.
Velluto rosso a inondare la scena. Questa la prima immagine che si ha quando si entra nella sala Shakespeare dell’Elfo Puccini dove è in scena Il Padre di August Strindberg per la regia di Gabriele Lavia.
Il pubblico resta sorpreso, non è infrequente sentire tra il vociare degli spettatori lo stupore per la scenografia che ancora non si intravede del tutto. Non capita spesso di andare a teatro e di sentirsi avvolti da tessuti. Abituati, ormai, a scene minimaliste. È una scenografia imponente quella ideata da Alessandro Camera che si è formato con Luciano Damiani e Wiliam Orlandi.
Fin dall’entrata in sala si ha la sensazione di uno spettacolo in contrapposizione al Teatro Intimo auspicato da Stindberg, un locale piccolo perché le voci non fossero forzate e non risuonassero false. Non è forzato l’allestimento scenico perché come ricorda Gabriele Lavia in un’intervista a cura di Matteo Brighenti, Strindberg aveva pensato alla pièce Delitto e delitto come avvolta da velluti neri, non soddisfatto dagli ambienti realizzati in carta dipinta in occasione di una messa in scena de Il Padre dove a ogni porta sbattuta avrebbero rischiato di vibrare in maniera fastidiosa soffitto, pareti e finestra.
Il velluto quindi è una citazione strindberghiana, ma nella regia di Lavia cambia il colore. Rosso come il sangue a simboleggiare lo sprofondamento del salotto borghese. E di un rapporto coniugale destinato alla sua conclusione. L’autore svedese scrisse Il Padre nel 1887 al culmine della sua crisi matrimoniale con Siri von Essen da cui divorziò nel 1891. Siri non fu né la prima, né l’ultima delle mogli.
Lo scontro con la figura femminile è uno dei temi ricorrenti della produzione narrativa e drammaturgica dell’autore che intorno alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento scrive i suoi testi più autobiografici, destinati ad essere tra i più rappresentati in teatro. L’ispirazione de Il Padre che è il primo testo della trilogia strindberghina costituita da La Signorina Giulia e da Creditori non è frutto solo delle vicissitudini private e familiari di Strindberg.
Per l’autore svedese fu decisiva la lettura di un articolo pubblicato sulla rivista Novellau Revue nel marzo 1886 di Paul Lafargue (noto ai più per il pamphlet Il diritto all’ ozio) sul matriarcato. Oltre alla conoscenza del mito di Ercole e Onfale (citato da Lafargue), dei testi dei fratelli Gouncourt, di Émile Zola, Dumas figlio, Maupassant. Ne Il padre inoltre, non mancano citazioni tratte dai scespiriani, Mercante di Venezia, Otello ed Amleto (Lavia nel suo adattamento aggiunge anche riferimenti tratti da altri lavori di Strindberg).
In piena epoca vittoriana, con alle spalle l’apice del positivismo, nel cuore dell’imperialismo, Strindberg (e non solo lui) s’interroga sul futuro ruolo della donna moderna. Influenzato dalla sua storia di vita e dall’epoca in cui vive, l’autore svedese, non esita a ipotizzare un momento storico e sociale in cui sarebbe arrivata la parità dei sessi, ma << fino a quel giorno – scrive Strindberg alle donne – state lontane dalle “riforme” della classe superiore >>. Uomini e donne, senza distinzione, si sarebbero occupati di cullare i figli, di sbrigare faccende domestiche e di istruire nuove figlie, nuove femmine libere, indipendenti con nuovi pensieri.
E l’educazione della prole è tema centrale ne Il Padre di Strindberg. Una madre (una perfida e meschina Laura, interpreta da Federica Di Martino) incapace di essere libera – e quindi di liberare la figlia (Berta, impersonata da Anna Chiara Colombo) – e un padre, un capitano, stimato uomo di scienze (Gabriele Lavia) discutono sul futuro di Berta. La prima vorrebbe la figlia sempre vicina a sé, magari pittrice senza che ne abbia la stoffa, il secondo lontana, in città, a studiare e a imparare a crescere indipendente.
In mezzo le angherie della moglie, le ristrettezze e le dipendenze economiche (esercizio di potere domestico) e il tarlo che si insinua sempre di più nel Capitano. Quello di non essere il genitore biologico di Berta. Dubbio insinuante che travolge l’ufficiale in carriera mai smentito in maniera forte, chiara ed inequivocabile dalla subdola moglie. Paternità impossibile da dimostrare.
Un timore impossibile da placare per la mancanza all’epoca dei progressi della scienza e per la spregiudicatezza di una moglie priva di ogni sorta di empatia. Preoccupata della condizione delle finanze domestiche, incapace di comprendere la fragilità del marito a tratti maniacale, inabile di provare fiducia nelle competenze del capitano, boicottatrice delle missive del marito (destinate ad intellettuali ed editori) sulle soglie di una scoperta scientifica che ne avrebbe accresciuto la fama (e le risorse economiche), Laura non perde occasione di far condannare il consorte dopo un impeto d’ira. Dopo l’ennesima diatriba, Laura dichiara al Capitano la propria volontà di farlo interdire.
A questa affermazione l’uomo non riesce a trattenere la propria rabbia e fa per scagliare un lume a petrolio acceso contro la moglie. Uno di quei gesti a vuoto che hanno segnato la storia della drammaturgia teatrale moderna e che dieci anni dopo il 1887 riecheggiano in Cechov.
Dopo quel gesto ne Il Padre di Strindberg resta lo spazio dell’interdizione. E della morte. Il velluto rosso sommerge gli essenziali mobili sghembi del soggiorno, quasi una nave in balia del prossimo naufragio, mentre fuori imperversano la neve e il freddo. A quel punto, <<è compiuto il delitto perfetto – come riassume Lavia – quello dell’omicidio psichico>>. Il Capitano di Lavia è un uomo fragile, ironico, un po’ velleitario, a tratti maniacale.
Ercole tradito dalla sua Onfale. Ritornano qui le figure femminili dirette da Lavia con tutta la loro carica di fascinazione, così come le strazianti tonalità delle voci che lui ha in mente e che sa far riprodurre ai suoi attori, specie quelle che si incollano all’anima anche da fuori scena (memorabile la sua regia di alcuni anni fa di Sinfonia d’autunno di Ingmar Bergman).
Innumerevoli le chiamate e gli applausi (molto acclamata l’interpretazione di Giusi Merli nei panni della Balia), per questo ritorno di Lavia alla drammaturgia strindberghiana, nonostante la madeleine di alcune signore del pubblico per altre stagioni, quelle più giovanili.
Foto di Tommaso Le Pera (copertina) e Filippo Manzini (corpo testo)
Il padre, di August Strindberg, al Teatro dell’Elfo fino al 25 febbraio