Il giovane direttore d’orchestra americano torna sul podio della Verdi, per dirigere la mitica sinfonia Leningrado (detta anche “dell’assedio”) del compositore russo
“Una tempesta di neve infuria fuori dalla finestra mentre il nuovo anno si avvicina”.
Dmitrij Šostakovič
L’inverno del 1941 doveva essere stato particolarmente freddo, mentre la città di Leningrado veniva assediata dalle truppe tedesche. In quegli anni, ogni russo avrebbe voluto dare il suo contributo alla causa patriottica, anche Šostakovič. E lo fece attraverso la sua musica. Le sue mani poterono dare vita a uno dei suoi lavori più celebri, la Sinfonia n. 7 Leningrado, e mostrarci, ancora una volta, di come dalle ceneri umane, dalla bruttezza e dal terrore – che il mondo aveva vissuto durante la Seconda guerra mondiale – sia possibile rinascere e riscoprire la bellezza.
Ritrovare la bellezza attraverso la musica. Perché la sinfonia “dell’assedio” non è solo un mero esercizio di propaganda – anche se è indubbio il fervore patriottico del compositore durante quegli anni – ma è anche la storia (universale) di una rivalsa e di una rivincita sulle avversità: dopo la prima esecuzione nel marzo 1942, nell’antica Samara, finalmente, dopo innumerevoli acrobazie degne di una spy story, la partitura giunse a Leningrado e venne eseguita dalla decimata Orchestra della Radio di Leningrado. Quella musica – dove la guerra si fonde con elementi fantastici (secondo il regista Sergej Ėjzenštejn e la poetessa Anna Achmatova) – sarebbe stata diffusa dagli altoparlanti «nel silenzio della terra di nessuno».
Šostakovič, Una nuova sfida per Robert Trevino
Robert Trevino, classe 1984, originario del profondo Texas, attualmente è uno dei giovani direttori più interessanti della scena internazionale ed è stato nominato di recente direttore musicale della Basque National Orchestra.
La svolta per Trevino arriva con un grande colpo di fortuna o, meglio, succede che a volte il destino ci metta lo zampino: era il 2013 quando si trovò a sostituire all’ultimo minuto Vasily Sinaisky in una nuova produzione del Don Carlo al Teatro Bolshoi. Certe cose, però, non accadono per caso: il giovane direttore americano aveva lavorato a lungo e duramente per giungere a quel prestigioso trampolino di lancio. Dapprima, studiando con David Zinman all’Aspen Music Festival and School (vincendo anche il “James Conlon Prize”) e poi, nel 2011, scelto da James Levine, ottiene la Seiji Ozawa Conducting Fellowship presso il Tanglewood Music Festival di Boston, dove dirige le rare Trois Operas Minutes di Darius Milhaud. I primi passi nel mondo musicale sono legati all’acclamata esecuzione del Ciclo delle Sinfonie di Sibelius con la Helsinki Philharmonic Orchestra diretta da Leif Segerstam, di cui era stato assistente.
Trevino possiede una grande sensibilità per il repertorio sinfonico tardo-romantico e novecentesco, come sta dimostrando nella sua attività con la Basque Symphony Orchestra, dove il focus della sua prima stagione da Direttore musicale sono Benjamin Britten e, guarda caso, Dimitrj Šostakovič, «proprio per la loro prospettiva su quel che succedeva nel mondo durante il secondo conflitto mondiale. Šostakovič è particolarmente affascinante per la sua profondità di musicista e di essere umano, che ha dovuto trovare nuovi modi per comunicare con il suo pubblico senza rischiare la vita. Un nuovo tipo di resistenza: un messaggio che rivestiva un importante significato allora, e ancora oggi».
Il giovane direttore americano non disdegna neanche le esperienze contemporanee, collaborando con compositori americani del nostro tempo, come Augusta Read Thomas, Jennifer Higdon, Charles Wuorinen, Bernard Rands, Shulamit Ran, George Walker, David Felder e John Zorn. Per il suo lavoro sul repertorio contemporaneo, ha ricevuto numerose borse di studio e premi da parte della Foundation for Contemporary Art, Gene Gutche Foundation e dalla Renaissance Society dell’Università di Chicago.
Per Trevino, sin dalla tenera età, fare musica è «un bisogno compulsivo, non la scelta razionale di un sacrificio totale per la musica». Un bisogno vivo, adesso più che mai. «Le persone mi chiedono – racconta il giovane direttore – se intendo prendermi una pausa per riposarmi dal mio lavoro, ma non posso: ho solo iniziato a scrostare la superficie di quel che spero di trovare nella musica. Quando trovi un’orchestra che non vuole perdere neanche un minuto di prova, e un pubblico che affronta con gioia quel viaggio, in quel momento, ti rendi conto che una vita spesa per la musica è qualcosa di meraviglioso».
Come un novello artigiano, il direttore americano cerca, al di là della superficie, nuove profondità alla musica. Nelle sue mani, nel concerto del 2017 l’Orchestra Verdi scopriva nuovi colori e significati nella Quarta di Mahler. Cosa succederà con la Sinfonia dell’assedio di Leningrado?