Roberto Contu nel grande (e vivo) gioco della letteratura

In Letteratura

La storia e l’invenzione, la letteratura e la nascita dell’Italia, i personaggi che hanno fondato un immaginario e i loro tic: nel nuovo romanzo di Roberto Contu, di recente uscito per Castelvecchi Editore, il memoriale immaginato e vivido di Antonio Minutolo, letteratore – in viaggio da Napoli a Torino nella stagione incandescente del 1864. Un libro multiforme, ironico e avventuroso nel più antico, stimolante, fecondo significato del termine: perché anche le storie che sono (già) state scritte continuano ad avere una loro vita, ben oltre la parola “fine”. E vederle in azione produce diletto (che, in tempi come questi, non è una impresa da poco).

La copertina è già un invito a perdersi in voli fantastici e in parte noti. Il mostro Gerione scodinzola portandosi in groppa quattro uomini e una donna, con Pinocchio che fatica a trattenersi sulla coda. In lontananza un uomo osserva la scena, in piedi su una Luna antropomorfa. In questo splendido disegno c’è la sintesi visuale dell’ultimo, incredibile romanzo di Roberto Contu: Matta impresa di Antonio Minutolo letteratore italiano (Castelvecchi, 2025).

Nella selva dei plagiari

Oltre il frontespizio, in esergo, l’autore è chiaro: citando una massima che Foscolo “copia” da Goethe, ci fa capire che anche inconsapevolmente ormai siamo tutti dei plagiari, non possiamo che saccheggiare il lavoro altrui. Perché tutto è stato scritto, musicato, disegnato, filmato; possiamo solo rielaborare, reimpastare una materia che la nostra intelligenza può fare nostra fino a darle nuova linfa e nuovo stupore. Così Manzoni nei Promessi sposi ha resuscitato aride cronache del Seicento, Umberto Eco nel Nome della rosa ha manipolato il Medioevo incrociandolo con Conan Doyle; Bob Dylan senza i folksinger più sconosciuti non avrebbe dato inizio a una carriera folgorante. E nel cinema, che dire degli splendidi falsi di Robert Zemeckis in Forrest Gump o, meglio ancora, di quel mistificante gioiello che è Zelig di Woody Allen? Anche in questo campo ce lo ha detto e mostrato Peter Bogdanovich, celebrando nelle sue opere migliori i film dei maestri che hanno dato prestigio alla vecchia Hollywood nei generi più classici, vivificandoli con un senso di struggente nostalgia. Contu recupera autori e personaggi della letteratura italiana (e non solo), li incrocia su un asse spazio-temporale verificabile (il cuore dell’Ottocento) e organizza intorno all’idea di partenza una scorribanda sui prati fantastici di un grande immaginario che appartiene ai nostri studi scolastici e, ovviamente, alle colte e approfondite letture dell’autore demiurgo.
Tra queste, quelle Confessioni di un italiano che sembra immediatamente il primo modello letterario: non a caso come Carlo Altoviti, l’ottuagenario narratore del capolavoro di Ippolito Nievo, nasce veneziano e muore italiano attraversando l’Ottocento, il narratore del romanzo di Roberto Contu nasce borbonico e muore italiano dopo aver “cavalcato” con una certa riluttanza le vicende risorgimentali.

Il soggetto, i personaggi

Il narratore è dunque un napoletano ultra ottuagenario, Antonio Minutolo, ex allievo promettente del linguista e grammatico narratore Basilio Puoti, che ha visto la propria esistenza distrutta da Francesco De Sanctis, il quale lo ha umiliato un giorno davanti a Giacomo Leopardi, e dai cambiamenti portati dall’Unità d’Italia, che lo hanno relegato tra i nullatenenti, i “non riciclabili” e gli invidiosi di un’invidia che lo rode a tal punto da progettare un omicidio proprio contro De Sanctis, diventato negli anni parlamentare a Torino. Così nasce la “matta impresa” del titolo, che Antonio narrerà in un memoriale sollecitato da un religioso che vuole emendarlo dall’insano peccato.
Partito da Napoli diretto a Marsiglia e poi a Genova, Minutolo incontra ‘Ntoni Toscano militare con la Marina Italiana, poi sulla nave Luigi Sperelli Fieschi d’Ugenta insieme al figlio Andrea destinati a un nobile Grand Tour, e Fosca la fosca determinata a compiere, come il narratore, una vendetta delittuosa contro l’uomo che l’ha umiliata e abbandonata. A questi personaggi si aggiunge, dopo un naufragio che assume a tratti cadenze melvilliane, il burattino Pinocchio. Da lì ha inizio un viaggio che attraversa l’Inferno dantesco e lo spazio labirintico e lunare del Furioso, prima di proseguire nel nuovo tratto ferroviario da Genova a Torino. In questo rocambolesco itinerario i sei personaggi si rispettano, si aiutano e si avvicinano: ‘Ntoni porta saggezza verghiana e forza da supereroe; Luigi Sperelli desiderio di esperienze e scappellotti nei confronti del figlio Andrea, cinico e già pruriginoso; Fosca un’oscura sofferenza; Pinocchio l’elemento magico e fiabesco. Ma lungo la via lasciamo al lettore la sorpresa di scoprire altre figure di assoluto rilievo, portate in scena dall’estro dell’autore.

La struttura e la lingua

Organizzato in nove capitoli, un prologo, un epilogo e un congedo, il romanzo oscilla dal verosimile al fantastico con una libertà d’invenzione che può allarmare o stupire, ma che è sempre unificata dal filo rosso della grande letteratura. Se i primi tre nuclei affondano nella storia partenopea di terra e di mare, tutto l’apparato centrale fino al settimo capitolo è investito dall’immaginario dantesco e ariostesco, due cardini evidentemente fondamentali nell’esperienza personale e didattica dell’autore, mentre dal capitolo ottavo si torna “sulla terra” e ci si avvia verso la conclusione, dove un coup de théatre aprirà la strada al “sugo della storia”. Storia che Contu racconta con una lingua raffinatissima, che specie nella parte iniziale è un calco formidabile della retorica ottocentesca, per poi distendersi come sostrato nello sviluppo della vicenda, toccando un florilegio inesauribile di citazioni come inesauribili sono gli epiteti irriverenti con cui l’autore apostrofa il “fantolino” Andrea Sperelli, odiatissimo già da piccolo per i successivi languori decadenti che di fatto oscurarono gli incompresi romanzi di Giovanni Verga. Di conseguenza, la “matta impresa di Antonio Minutolo” si legge con un piacere che si reinventa non solo con il caleidoscopio delle sorprese narrative, ma anche con le invenzioni di un linguaggio che si mimetizza dietro a stilemi noti e meno noti, mostrando ironia affilata e lunga frequentazione di letture.

La Storia è avventura, fisiologia e inferno

Il piacere del racconto è anche, nel romanziere docente, piacere della Storia, gusto del passato e delle umane avventure che lo hanno percorso. Lo si nota in particolare nelle fasi iniziali, con il resoconto dei fatti del Regno “duosiciliano” e il declino dei fedelissimi ai Borbone, fino all’arrivo al porto di partenza, dove i morsi della fame danno luogo alla prima rappresentazione delle necessità fisiologiche. I pasti, le abbuffate pantagrueliche con successive evacuazioni per os (e non solo) sono spesso ricorrenti in quest’opera che è innanzitutto un divertissement attento anche alla tradizione della letteratura popolare anticlassicista, da Pulci a Rabelais. Non mancano nemmeno i riferimenti all’attualità, con il naufragio davanti all’Isola del Giglio che rimanda alla sciagura del comandante Schettino e l’approdo sulla spiaggia di tanti profughi, dopo il naufragio della nave Africa. Contu lancia un sasso qua e là, fa allusioni al presente ma evita di aprire parentesi inopportune che, come per il poema divino o quello di Ariosto, rallenterebbero il racconto portandolo altrove. Peraltro i riferimenti storici se li accollano sempre i sei personaggi, legati al loro mondo di provenienza anche quando si trovano in un improbabile altrove, mentre Contu/Minutolo riprende pienamente in mano il piacere dello storico quando, nel capitolo ottavo, riferisce della ferrovia e dei suoi progressi nel Regno italico, dimostrando una puntuale documentazione che spinge la vicenda fino a Torino, in quel settembre del 1864 quando si decidono le sorti della Capitale facendo accordi con la Francia, restia a mollare Roma e la tutela del Papa; evento, questo, che origina i tumulti piemontesi nei quali Minutolo rimane invischiato come il manzoniano Renzo nella seicentesca rivolta del pane. È questo il momento più tragico del racconto, quello in cui la Storia si traduce in un inferno simile a quello dantesco e l’incubo si esaurisce in un silenzio tombale.

Congedo

Una buonanima di poeta non può spiegare il male della Storia, non è questo il compito che ha spinto Roberto Contu ad affrontare l’impresa. E infatti è una mossa del burattino Pinocchio a sospendere il tempo storico e a farci rientrare nel mondo della letteratura, a portarci a quel ponte sul fiume Po dove avviene un congedo commosso anche per il lettore, che insieme ai personaggi ha vissuto la fatica di superare le differenze e imparare a conoscere l’altro, ascoltandolo anche ad occhi chiusi, come accade al narratore quando vola con i mostri più strabilianti attraverso il buio sospeso dell’universo o dei tunnel infernali. È un epilogo in cui riaffiorano altri finali commoventi, come quelli di alcuni film di Fellini quando il circo chiude i battenti, i tendoni si smontano e la festa è finita. Minutolo ha compiuto il suo percorso di formazione, ha gettato le armi e l’odio, ha capito anche che si muori soli, senza eccezioni il sipario cala per tutti. Ma dietro quel sipario c’è una pace assoluta.

(Dei libri di Roberto Contu si parla anche qui e qui. Una anticipazione del romanzo Matta impresa di Antonio Minutolo, letteratore italiano, invece, si trova qui).

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