Attraverso la nascita e l’evoluzione di alcune delle riviste di critica musicale più emblematiche degli ultimi decenni, ripercorriamo la storia dell’evoluzione della critica musicale in Italia, dagli anni 70 a oggi
Quando nel 1980 terminò l’esperienza di Popster una parte della redazione creò Rockstar, una rivista che manteneva in parte l’impostazione precedente, come dimostra il sottotitolo: “Rivista di rock mainstream”. L’obiettivo, così come per Popster, era quello di creare una rivista popolare, ma di un certo spessore.
Secondo Andrea Silenzi: «Rockstar era una rivista intellettuale, era scritta veramente molto bene. Aveva due caratteristiche principali: la letterarietà e i collegamenti tra varie arti. Inoltre era l’unica rivista che si focalizzava sulla musica nera. Peppe Videtti, che aveva dato l’impostazione, oltre ad essere un’ottima penna era uno dei più grandi esperti in Italia di musica nera, appunto. Tutte le altre riviste erano più focalizzate sul rock, sul cantautorato, sulla musica americana eccetera, però non sulla black music. Lì, su Rockstar trovavi anche articoli sul pop, ad esempio su Jackson o Madonna, che nelle altre riviste non erano considerati perché “commerciali”, che non si sa che vuol dire. Come se uno facesse dischi per non venderli. Il concetto di commerciale è molto ambiguo. Tutto quello che era pop quindi non era trattato e l’unica, se non sbaglio, era Rockstar, che all’epoca vendeva 100 mila copie».
Un’altra testimonianza riguardo l’impostazione e la qualità di Rockstar viene da Videtti, che ne fu il primo direttore: «I grandi fotografi come Annie Leibovitz, che in America erano famosissimi e strapagati, qui erano distribuiti da un’agenzia che si chiamava “Grazia Neri”. Ci faceva dei prezzi stracciatissimi per le foto, perché non sarebbero finite da nessun’altra parte se non su Rockstar. Ovviamente quando dico prezzi stracciatissimi voglio dire che non erano prezzi popolari, ma neanche come in America. L’unica condizione era che i giornali americani avessero pubblicato quelle foto almeno sei mesi prima. Ma per noi andava benissimo, stando quaranta anni indietro». E spesso grazie a queste fotografie le vendite aumentavano. Commenta infatti Videtti: «Il picco ci fu con i Duran Duran e gli Spandau Ballet; con loro, che erano estremamente famosi in Italia a livello di immagine, Rockstar arrivava pure a raddoppiare la tiratura, diciamo a metà anni Ottanta».
A questo punto però inizia una nuova fase; il momento in cui queste riviste ebbero il picco di vendite, infatti, coincide anche con l’inizio della fine del loro percorso. I motivi possono essere ricercati sia nell’impostazione data dall’industria musicale, sia nel tipo di fruizione della musica da parte del pubblico.
Non è facile fare un’analisi dettagliata, tuttavia Videtti sostiene che: «Con l’avvento del cd, fine anni Ottanta o proprio 1990, il mercato ha cominciato a frazionarsi, c’è stata l’invasione del digitale, non so dire bene per quale motivo ma ci fu una vera e propria crisi nel settore. Fondamentalmente non si vendevano più vinili e di conseguenza anche le riviste. Credo che uno dei problemi fu che i lettori non leggevano più, il consumo della musica divenne un consumo “sbandato”. Prima i giovani avevano interessi molto meno settoriali di adesso, per questo le riviste avevano una buona tiratura. All’epoca c’era una grande apertura, si ascoltava rock, punk, jazzrock, jazz d’avanguardia come Ornette Coleman, John Coltrane, il free jazz era molto seguito. I concerti di Keith Jarrett all’Umbria jazz erano pieni di giovani, per esempio. C’era molta comunicazione tra i generi, cosa che poi invece si è persa. Noi usammo varie strategie per cercare di sopravvivere, ma l’industria era rimasta legata ai suoi principi e non ha colto i segni di questo sbandamento. Ho lasciato nel 1994 ed era già un disastro, facevamo 30-35 mila copie. Quindi erano sempre numeri rispettabili, ma non paragonabili a prima. Noi avevamo investito tanto in foto, carta, viaggi eccetera, ma poi non fu più possibile».
Gli anni Ottanta furono quindi il momento migliore per un certo tipo di editoria musicale, legata principalmente al pop e al rock mainstream e il pensiero comune era che l’espansione di queste riviste non avrebbe avuto ostacoli: Purtroppo non è stato così.
«Pensavamo che il futuro della musica e delle riviste fosse brillante – conclude Videtti – Si vendevano milioni di copie dei giornali, la discografia pure andava a gonfie vele. Allora i giornali musicali vendevano dalle 100 mila alle 170 mila copie, che allora agli editori sembrava poco. Col senno di poi non è male».