Un uomo buono e pio viene messo alla prova da Dio, che gli porta via tutti gli affetti più preziosi. Chiede allora (e ottiene) di non conoscere più l’esperienza della morte: così Amar farà l’esperienza del limite, del desiderio, della vita.
Nel centenario della nascita dell’autrice, Marsilio ripubblica una favola laica di potente attualità.
Rossana Rossanda fa precedere il suo Amar – Favola laica, di recente ripubblicato da Marsilio, da un’introduzione in cui ci spiega i motivi per cui l’ha scritto.
‘La favola di Amar è un frutto del disagio. Non mi riusciva di scrivere se non in forma fantastica che, se non morissimo, non conosceremmo niente di simile alla vita che tanto ci è cara. Eppure è un’evidenza. Ma è un’evidenza che non attiene al sentimento che abbiamo, è un’evidenza della ragione cui non si accompagna quel senso di pacificazione che altre volte il ragionamento sembra darci, consumando l’emozione nell’assumerne i termini’.
E Rossanda, come i filosofi dei tempi più antichi, su su fino agli esistenzialisti, fino a oggi e alle generazioni future, per come ce le possiamo immaginare, riflette sulla finitezza, sul limite, e in sostanza sulla morte (che sola dà senso al nostro vivere) e sulla nostra incapacità di accettarla.
Rossanda guarda anche a come, nelle diverse età, pensiamo la morte: dall’infanzia in cui riusciamo a ignorarla, fino alla vecchiaia, in cui dovremmo farcene una ragione anche se così non accade.
Rossanda si trovava in questa ‘zona’ di riflessione paralizzante, quando, dice, ha intersecato due morti di troppo.
La prima è quella di una giovane donna, cosi giovane che avrebbe potuto essere la figlia di sua figlia. L’ha assistita per tre anni di una stessa morte, perché di quella malattia non poteva che morire: una ragazza bellissima che molto tempo prima era finita nella dipendenza. Faticosamente, con determinazione e tenacia, ne era uscita. E adesso, dopo sei anni, quando ormai tutto avrebbe potuto considerarsi alle spalle e sta cominciando una nuova vita, si ritrova inchiodata da un esame ematologico.
È in questo momento che Rossanda la incontra.
La ragazza non riconosce la malattia, è certa che l’avrebbe vinta anche questa volta. Si consuma come una candela e non cede, non si fa degradare dal male. Rossanda la cura con amore, la lava con le sue mani, si sente in colpa perché non è giusto, avrebbe dovuto capitare a lei che ha già così tanto vissuto. Non era giusto.
Rossanda ne aveva parlato molto con un amico, un grande medico appena più anziano di lei, lui aveva sempre aggiunto: “La morte non è mai accettata”.
Al vecchio amico, Rosssanda ribatte: “Ma noi moriremo acquietati. prenderemo congedo. Si deve poterlo fare”.
Pensa di scriverlo e si disegna in testa una favola, che è un modo di dire e non dire.
Poco tempo dopo, l’amico, il medico che aveva curato e capito tenta gente, si ammala anche lui. Anche lui lotta come un leone. Non dice a nessuno del suo male. Come la giovane donna, anche lui non ha mai accettato la morte. Non accetta di essere cremato: voleva restare nel grande ciclo.
A Rossana regala dei versi di Valéry:
“L’argile rouge a bu la blanche espèce
Le don de vivre a passé dans les fleurs”.
La rossa terra ci ha bevuto, il dono di vivere è passato nei fiori.
Rossanda non gli leggerà mai la favola che aveva scritto per lui, e forse ha fatto bene.
Amar è sconsolante, terribile.
Difficile capire perché l’abbia sottotitolata ‘Favola laica’. Più che una fiaba, richiama un racconto biblico, un minaccioso apologo. E laica non lo è, perché sempre presente c’è un Dio, che non ha volto, nè volontà neppure di ferire. È crudele, perché indifferente. Come la mostruosa, gigantesca Natura, ai limiti del mondo, cui arriva dopo un tormentoso viaggio l’Ilandese errante del Dialogo di Leopardi.
E Amar nega quel Dio che gli ha portato via tutto, gli chiede e ottiene di non morire, per sfidarlo. Ma cosa ottiene? Un disperato errare per il mondo, un susseguirsi di secoli, incontri che svaniscono. Sempre cupo, disperante, ma Amar non cede nella sua determinazione di non morire. Eroico, solo, disperato.