Perché mi è piaciuto “Cinquanta sfumature di grigio”: biografia ragionata di Sam Taylor-Wood
Viva Sam Taylor-Wood e viva anche Cinquanta sfumature di grigio, se è lei a dirigerlo. In onore della brit artist che si è fatta conoscere al grande pubblico indossando una maglietta con la scritta Fuck-Suck-Spank-Wank (voce del verbo: scopare, succhiare, sculacciare e farsi le seghe), verrà qui ampiamente tralasciata la presuntuosa scientificità di molti addetti al mestiere dell’arte secondo cui di un artista bisognerebbe valutare l’opera a prescindere dalla biografia. Gli artisti sono inscindibili dalla loro biografia.
Sam Taylor-Wood, che ora ha cambiato il suo nome in Sam Taylor-Johnson, nasce nel 1967 a Croydon nel sud sud sud di Londra e lì viene cresciuta, a undici minuti di tramway da Beckenham, il quartiere dove Hanif Kureishi ha ambientato Il Budda delle periferie; l’atmosfera è quella del romanzo; per intenderci: food and wine chimici, yogini drogati, council houses occupate da skinheads furiosi per la guerra nelle Falklands. A dieci anni Taylor-Wood viene abbandonata dal padre; a quindici dalla madre, una yogina. A seguire, Sam diventa la ragazza di Jake Chapman (all’epoca non ancora in combutta con il fratello Dinos per diventare la coppia di bad boys più scorretti dell’arte inglese), insieme si trasferiscono a Londra centro, dove Sam s’iscrive al Goldsmith College, a quel tempo frequentato dai suoi futuri colleghi YBAs Damien Hirst, Marcus Harvey, Sarah Lucas.
Al Goldsmith, Sam è video-artist e fotografa, nel 1997 è una delle YBAs che espogono alla Royal Academy per Sensation, l’epico show della collezione Saatchi. Ma il suo 1997 è segnato da altri eventi: il matrimonio con Jay Jopling (fondatore di Whitecube Gallery, uno dei galleristi più influenti al mondo), la nascita della figlia Angelica, la diagnosi di tumore al colon. Tre anni dopo, nel 2000, a trentatré anni, le viene diagnosticato un cancro al seno: il giorno della sua prima seduta di chemioterapia è anche il giorno d’inaugurazione della Tate Modern e Taylor-Wood, presente in collezione, ne guarda l’opening alla tv, dalla sua stanza d’ospedale. Undici mostre personali negli anni che vanno da un tumore all’altro.
Sam sopravvive e nel 2008 si separa dal marito, una separazione clamorosa vista la dolcezza con cui la coppia si era sempre accompagnata. Nel 2013 si risposa con Aaron Taylor, 23 anni più giovane di lei, conosciuto sul set di Nowhere Boy, biopic su John Lennon, dove Sam è regista e Aaron impersona il cantante; clamore della stampa internazionale. Nel 2014 Sam l’invincibile dice: “Sì, voglio girare Cinquanta sfumature di grigio”.
Un’intera generazione di artisti porta ancora il segno di ciò che ha significato uscire dal nucleo famigliare e ritrovarsi nella Londra anni Ottanta. Le sottoculture, la metropoli in ascesa, la Thatcher, l’inestirpabile humus nazionalista del Regno Unito, era tutto presente in Sensation, la mostra che, grazie all’ignoranza di molti, è ricordata solo come emblema dell’overpricing nel mercato d’arte contemporanea. Tra le righe di Sensation, seguendo la fortuna degli artisti che vi erano esposti, si legge tutt’altro, la storia di un gruppo di ragazzi imbevuti di cultura nazional-popolare inglese: i fantasmi del comandante Francis Drake e dei suoi corsari, la follia di Giorgio III, storie di misteriose prostitute d’età vittoriana, leggende sugli assassini della brughiera e poi l’oggettistica legata a questo milieu, come per esempio le Toby Jugs, pinte per la birra modellate in ceramica ad immagine di noti personaggi inglesi. Senza tralasciare i debiti con Bacon, riferimento fondamentale per riuscire a guardare uno come Damien Hirst senza pensare solo al suo conto in banca.
Strabiliante in Sam Taylor-Wood è la completa assenza di quanto detto sinora: l’artista è innocente sin da ragazza, più protestante che anglicana. Il suo immaginario magro, realistico, è un piatto di crudités. Per dare forma al suo memento mori nel 2001 gira Still Life, un video di 3 minuti e poco più, dove mostra in fast motion la decomposizione di alcuni frutti posti su un piatto di paglia intrecciata: nell’inquadratura, oltre alla frutta, solo una penna bic.
Sempre nel 2001 filma Pietà, 1 minuto e 57 secondi: l’artista siede su una scalinata reggendo il corpo di Robert Downey Junior come un Cristo deposto. Il video si regge sulla forza muscolare dei polpacci di Taylor-Wood, con una presa sul corpo della Madonna che pochi oserebbero. In una serie fotografica del 2004 intitolata Self Portrait Suspended Sam Taylor-Wood si mostra in mutande e maglietta sospesa nell’aria all’interno del suo studio. Le immagini lasciano supporre che l’artista sia appesa alle travi del soffitto, ma nessuna corda o sostegno è visibile, rievocando in tal modo la figurazione di ascensione e discesa nella pittura religiosa. Quelle stesse posizioni tornano in Cinquanta sfumature di grigio, dove il rosso carminio delle corde da bondage si fa notare presto.
Nella poetica di Taylor-Wood, l’artista s’appropria delle figure primarie della storia dell’arte (natura morta, pietà, ascensione e le frequenti citazioni delle opere più celebri di Mantegna, David, Velázquez e altri), per rimetterle in scena tale e quali. Il corpus di opere di Taylor-Wood è dominato dalla naiveté; mentre altri artisti, reinterpretando la pietà, ne hanno spesso sfidato il simbolo con afflati provocatori, se non blasfemi, Taylor-Wood si ferma un chilometro prima e offre la scena armata solo della propria ingenuità. Più che con lo stile Tudor dei suoi colleghi, l’inconscio visivo di Sam sembra confrontarsi con un forte senso d’interdizione forse, chissà, nato negli anni di Croydon. Ecco perché Cinquanta sfumature di grigio, dalla risonanza immediatamente pittorica, s’inserisce perfettamente nella poetica dell’artista, senza comprometterla.
Cinquanta sfumature è un film sull’innocenza del sadismo. Sottomessa e dominatore i due personaggi non lo diventano mai perché Anastasia, avida mordicchiatrice del proprio labbro inferiore, si rivela molto più sadica di Christian. “Di cosa hai paura?” chiede la ragazza al giovanotto, quando in realtà lo vorrebbe implorare: “Dimmi come godi, ti prego, dimmelo!”. Vuoi sapere come godo al massimo, Anastasia? Sì. Christian le percuote per sei volte il culo con una cinta di cuoio, e ad ogni cinghiata è lui stesso a soffrire come una bestia.
Anastasia non ama leggere tra le righe, non le basta intuire la sofferenza, il senso di colpa di Christian, vuole farlo passare all’atto. Christian non vuole batterla, è sfinito, pronto ad amarla, ma lei lo sprona, vuole capire, insiste. Lui cede al godimento perverso. Lei, nipotina sbalordita della Justine sadiana, si allontana da lui: “Stronzo!”. Conclusione: Christian cerca di fermare Anastasia, lei si gira e gli intima di non procedere. Lui s’arresta e pronuncia il nome: “Anastasia”. Le porte dell’ascensore si stanno per chiudere. “Christian…” Le porte si chiudono. Che le porte si chiudano e lei pronunci il nome di lui non è una reinterpretazione allo sciroppo d’acero di Via col vento come ha pensato molta critica; è una scena di castrazione, è un “Christian… ZAC!”, ma evidentemente la critica, abituata com’è a Lars von Trier, aveva bisogno che l’attore abbassasse la zip, estraesse il pene dalle mutande e se lo facesse volontariamente stritolare dalle porte dell’ascensore per poter parlare di castrazione.
Oscillano, dondolano, la vittima e il carneficie. Sono loro i suspended bodies delle fotografie di Taylor-Wood, due ragazzi cresciuti nell’abbandono, costretti a crearsi le loro teorie per vivere l’amore: lui tramite il bondage, lei con la verginità. Cinquanta sfumature s’inserisce perfettamente all’interno della produzione di Sam Taylor-Wood artista. Non più self-made men, ma self-made boys and girls, self-made kids, è qui che la vena londinese di Taylor-Wood ricomincia a pulsare sotto le noiose scenografie di Hollywood.
E le adolescenti la cui istruzione desta così tanta preoccupazione? Quelle che non dovrebbero andare al cinema a guardarsi Cinquanta sfumature, ma stare a casa a leggere della genesi socio-politica dell’Isis? Vadano al cinema le giovani donne ora che una grande artista come Sam Taylor-Wood cerca di mostrare loro la logica ambivalente della sottomissione, senza il bisogno di scudisciare peni e vagine. E chissà poi che questo le prepari ad affrontare le cinquanta sfumature di soumission che giornali e telegiornali portano nelle loro case.