Dopo vari corti e documentari su temi di attualità, la 40enne regista marocchina Maryam Touzani racconta in “Adam” l’incontro tra due donne sole e povere (una pasticcera vedova e una prossima ragazza madre) nella Medina di Casablanca. L’approccio, prima difficile, diventerà fonte di esperienze e coscienza per entrambe. Aiutandole a superare un passato doloroso che pesa, per affrontare il futuro con energia e intelligenza. Eccellente la prova delle protagoniste Nisrin Erradi e Lubna Azabal
Adam è davvero un film tutto al femminile. E per una volta non è una frase fatta, sentita tante volte. L’ha scritto e diretto con intelligenza, sensibilità ma anche energia la quarantenne regista marocchina Maryam Touzani, al debutto nel lungometraggio dopo corti e documentari su argomenti di rilievo nel suo paese come la prostituzione (Sous ma vieille Peau, 2014) e lo sfruttamento del lavoro minorile (Aya va à la plage, 2015). Lei stessa l’ha sceneggiato, con l’aiuto di Nabil Ayouch, produttore e compagno di vita, e l’ha fotografato con gusto cromatico e affetto per le protagoniste Virginie Surdej. Ma soprattutto al centro del racconto c’è una densa relazione, che diventa profonda amicizia pur durando pochi giorni, tra due donne, una storia dai risvolti autobiografici che affondano nei ricordi dell’autrice.
L’incontro tra Samia (Nisrin Erradi) e Abla (Lubna Azabal) nasce al tempo stesso nel peggiore ma forse anche nel più promettente dei modi. La prima è una ragazza alla deriva, prossima al parto di un bambino del quale il padre mascalzone non ha intenzione di occuparsi, arrivata disperatamente dal villaggio natale a Casablanca in cerca di tutto: una casa dove rifugiarsi dall’ostilità del mondo, un lavoro che pure potrà fare per pochi giorni e faticosamente, ma soprattutto un’anima che l’aiuti a prendere una decisione sulla sua vita, ovvero se deve fino in fondo seguire il suo istinto che è partorire e dare la creatura in affido a una famiglia dove potrà avere un’esistenza migliore che accanto a lei. Sfinita dai tentativi falliti di ottenere anche una di questi risultati, si aggira disperata nella Medina bussando ad ogni porta per implorare impiego e alloggio. Finchè, dopo un rifiuto iniziale, Abla, pasticcera che vive con la figlia Warda (Douae Belkhaouda) di otto anni (più avanti nel film si scoprirà che è tristemente vedova) la accoglie. Ma con freddezza e sospetto, mostrando però sempre più al pubblico che sotto una scorza di durezza che la vita le ha imposto, la sua qualità di essere umano è superiore a quella degli altri.
Ha inizio così un rapporto a tre, anzi a quattro, perché sempre più il nascituro Adam si fa sentire come presenza psicologica, destino incombente, motore neanche tanto immobile di scelte future: Samia, che si scopre abile creatrice di dolci a sua volta e Warda si alleano subito, non solo nel convincere Abla a continuare, sotto gli occhi e forse contro il sentir comune di tutti questa convivenza, me nel sempre più fruttuoso tentativo di dare anche a lei la spinta per superare il ricordo paralizzante dell’uomo della sua vita, della loro storia, di momenti magici ormai irripetibili.
Un film al femminile in cui al centro ci sono temi forti nell’esistenza delle donne, come la maternità, passata e presente, anche quella che si è appena manifestata ma appare incapace di creare il primo legame carnale tra madre e figlio, perché figlio, quel neonato, non potrà mai esserlo. O il lutto, “che non è una questione di donne”, dice Abla in un’efficace battuta del film, ricordando che una società, una cultura maschilista e spietata, le hanno impedito anche solo di andare al funerale del marito. Un film al femminile che non ha un lieto fine: le due si separeranno e il neonato verrà affidato probabilmente dalla madre a mani più fortunate di lei.
Ma in compenso da quei pochi giorni vissuti intensamente insieme hanno ciascuna guadagnato una maggiore consapevolezza di sé: sapranno meglio di prima come affrontare un mondo piuttosto avverso, come donne e oltretutto certo non ricche, ma soprattutto hanno piena coscienza della loro forza e intelligenza, che non è solo riuscire a sopportare ciò che altri forse imporranno loro, ma al contrario prendere in mano il loro destino, per quanto possa rivelarsi amaro e difficile. “Un film sul tatto, una storia, che tocca, di seni pronti a allattare, di mani che sfiorano la pancia, che impastano, truccano gli occhi, di corpi femminili riflessi allo specchio che ritrovano la loro bellezza e la complicità poderosa del gusto per la vita”, per usare le parole della sua regista/autrice.
Adam è un film dalle svariate qualità, passato con molti consensi nel 2019 da Berlino a Cannes e in altri festival più specializzati, ora distribuito da Movies Inspired in sala: che palesemente due eccellenti attrici si sono caricate sulle spalle, riuscendo appieno a esprimere il coraggio, le emozioni, la razionalità di personaggi assai diversi tra loro. Due donne che anche grazie a questa esperienza ora hanno certo una chiarezza di idee, e doti assai superiori (culturali, sociali, affettive) rispetto a quelle che il mondo aveva loro riservato in partenza.
Adam, di Maryam Touzani, con Lubna Azabal, Nisrin Errad, Douae Belkhaouda, Aziz Hattab