Quando Alexīs Tsipras, qualche mese fa, mise il popolo ellenico di fronte alla scelta di rifiutare o meno le proposte della Troika, uno degli scenari…
Quando Alexīs Tsipras, qualche mese fa, mise il popolo ellenico di fronte alla scelta di rifiutare o meno le proposte della Troika, uno degli scenari possibili che spuntò dalle urne insieme allo storico OXI fu quello di una Grecia fuori dall’eurozona. Una prospettiva che, al di là delle spinosissime implicazioni politico-economiche, aveva l’indubbio merito di far riflettere l’opinione pubblica sull’immagine e la funzione che l’Istituzione Europea assolve da alcuni anni a questa parte. Baluardo di civiltà e di diritti umani o strumento politico dei poteri forti che soverchia le economie (e i popoli) dei paesi membri più deboli?
Una domanda del genere se la dev’esser fatta anche Michele Santeramo (drammaturgo già premio Riccione 2011 poi premio Hystrio nel 2014) prima della stesura di Scene di interni dopo il disgregamento dell’Unione Europea. Qui, in una cronistoria a ritroso che comincia/finisce nel 2060 e finisce/comincia nel 2002, le vicende private di una coppia di lungo corso s’intrecciano a quelle sovranazionali dell’unione cerchio-stellata. Alberto e Silvia (rispettivamente Michele Sinisi e Elisa Benedetta Marinoni) non sono però due cittadini qualunque ma, da quel che ci fanno intendere nelle loro discussioni, sembrano direttamente coinvolti nel processo che ha compromesso le sorti europee. Il panorama ipotizzato è infatti quello di una comunità economica allo sbando: la moneta unica, vero simbolo dell’Unione, ha perso ogni valore e credibilità (“una moneta credibile – del resto – è una contraddizione in termini”) il mercato nero regna, la società degrada verso un’anarchia “survivalista” da una parte e uno stato di polizia dall’altra.
Una dimensione d’emergenza, tetra e senza scampo, il cui unico pregio è quello di far emergere con chiarezza (e spesso le situazioni estreme impongono una scelta netta) la vera natura delle cose e delle persone. Non si tratta di una “prevedibile” e “sottointesa” presa di posizione ideologica, né di un vero e proprio esame di coscienza, quanto di bagliori di una verità molto umana che prorompono dalla necessità del momento. La regia (ad opera dello stesso Sinisi) decide allora di procedere per scene quasi autonome (disgregate come i paesi ormai “post-europei”), dando vita a una narrazione puntiforme dove a ogni tappa del disvelamento emotivo-interiore della coppia corrisponde una nuova fase del processo storico dell’Unione.
E se la vicenda sembra richiamare da vicino gli scenari fanta-distopici che Michel Houellebecq ha tracciato nel suo ultimo romanzo (Sottomissione), lo spirito che anima Scene di interni… ne è formalmente distante. Eccezion fatta per alcuni passaggi relativi al presente (2015) in cui la disamina politica si fa invettiva tesa e seria (tanto che Sinisi lascia alla voce dell’autore il compito di pronunciare i brani in questione), il testo di Santeramo poggia su un’ironia intrinsecamente ludica e viene agito di conseguenza dai suoi due protagonisti. Si tratta, a conti fatti, di un “gioco teatrale” (così nelle note di regia) che non vuole rinunciare né al narrar leggero della fiction né al confronto diretto con l’attualità. Una dicotomia ben riassunta nella distorsione dell’Inno alla gioia di Schiller/Beethoven: funerea e beffarda all’unisono, la melodia simbolo dell’UE segna la fine di un sogno, si fa parodia di un’ideale. E a un dio a lieto fine non credere mai.
(Foto di Luca Del Pia)