Sceneggiatura superstar

In Teatro

Nelle sale, e a Venezia, ritorna il cinema “teatrale”. Da Clooney a First Reformed, i film dettano una nuova-vecchia tendenza. Che comprende anche le serie tv…

L’occhio è il nemico storico dell’orecchio e viceversa? Non sempre e non solo, al teatro d’opera certo no, nei musical neppure, ma al cinema questa partita si è giocata quando quest’arte visiva era muta, affidata al volto mobile, agli occhi sgranati, al pianto invisibile, ai capitomboli senza cerotti: c’erano solo le didascalie e se mai la pianola suonata sotto il palco. I film di oggi hanno spesso sfiducia nella parola, basti osservare come la colonna sonora prenda a volte un inutile sopravvento per l’effetto del rullo di tamburi: ci sono momenti in cui l’arte del muto rifulgeva indimenticabile, vedi il primo piano della Garbo, star tra le star, in anticipo sui tempi anche oggi.

Questo preavviso per dire che, di fronte allo strapotere dei cartoon e del fantasy dove le parole quando ci sono non sembrano memorabili, un certo cinema che invece ha fiducia nella parola sta tornando e la 74ma Mostra di Venezia ha dato in questo senso esempi eclatanti: i film che una volta si dicevano teatrali anche intendendo dispregio. Non per il film del Leone, quello di Del Toro, è anzi si basa sulla contrapposizione tra i sentimenti e la gloria fantastica visuale mostruosa cara al regista; per moltissimi altri invece sembrava di essere tornati ai tempi in cui i dialoghi erano curati, i tempi verbali anche, le parole soppesate, il ping pong caratteriale un goal dopo l’altro.

Questo vale molto per i nuovi film americani, da Suburbicon (foto di copertina) quel thriller magnifico di Clooney con la rete di protezione civile e scritto dai Coen, calato nell’America anni 50, al bellissimo Three billboards outside Ebbing, Missouri  (foto in alto) in cui Francis McDormand bravissima si porta sulle spalle il peso della violenza della provincia americana: per la prima volta mi è parso che, contraddicendo il rapporto di causa effetto, su questo film l’influsso, a livello di atmosfera, sia proprio quello seriale dei Fargo e dei True detective.

Ciò che è sicuro è che le serie, scritte per il piccolo schermo cui si addicono più i sentimenti e gli affetti che le fantasmagorie digitali, sono state in questi anni la rivincita del sistema psicologico di una drammaturgia basata sui dialoghi, basti pensare a titoli come Mad men e Downton Abbey ma anche Six feet under e FEUD: Bette and Joan (trailer in basso) con Jessica Lange e Susan Sarandon nei panni delle acerrime rivali Joan Crawford e Bette Davis.

La rivincita della psicologia dei personaggi: i film di Venezia, non solo d’essai che sarebbe una spiega facile e limitata, hanno dimostrato che c’è un limite al fantasy, al cartone, al virtuale di fantascienza. Sulla terra si dicono cose più interessanti, e lo dimostrano molti altri titoli tra cui La villa di Guèdiguian, il marsigliese, radicato nei problemi di oggi e capace di fermare con una immagine memorabile il problema dei migranti, sotteso a quasi tutti i titoli della Mostra, soprattutto nel grande film di Weiwei di cui abbiamo parlato, sommerso da una isteria critica collettiva.

E poi molta terza età, alla coppia in finale di partita del film di Virzì, alla coppia Redford-Fonda che ricalca le orme del bellissimo e malinconico racconto di Kent Haruf. E The insult  di Ziad Doueiri, autore libanese subito arrestato e poi rilasciato appena tornato in patria? E First reformed  di Paul Schrader, una specie di Luci d’inverno aggiornando le luci (led) e i cilici? E poi ovviamente altri, ma non è un conto della spesa, è solo la piacevole sensazione che qualcosa forse si stia muovendo – anche i fantasy al botteghino sono meno rigogliosi di una volta – in direzione della intelligenza e della sensibilità del pubblico, magari colpendolo anche in faccia con il femminicidio raccontato con gran suspense dal giovane Legrand.

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