In “Una classe per i ribelli” di Michel Leclerc una coppia progressista e multietnica vive nella periferia di Parigi: alla scuola pubblica di zona il figlio deve vedersela coi compagni tutti arabi e neri di famiglie assai religiose. Gli amici hanno spostato i rampolli in una ricca scuola privata: loro che faranno?
La scuola è una sorta di repubblica in miniatura, con una sua società consolidata, un’amministrazione, i governanti, i diritti e i doveri, i suoi valori di libertà, uguaglianza e fraternità, e anche il suo regime secolare. Una Repubblica in miniatura attraversata da quegli stessi dibattiti che arricchiscono la società: riduzione delle disuguaglianze, integrazione sociale, religione, razzismo, violenza, ingiustizia, discriminazione. Così, se Michel Leclerc in Una classe per i ribelli apre la porta di una scuola elementare nella periferia parigina non è tanto per vedere i ragazzi e come se la cavano con tutto questo: ciò che interessa a Leclerc sono gli adulti.
Dopo Le nom des gens (2010) e Télé Gaucho (2012), il regista francese continua sulla scia della commedia popolare e politica con un titolo programmatico bidirezionale: La lutte des classes. Sofia (Leïla Bekhti) e Paul (Edouard Baer) hanno una relazione, lei è un brillante avvocato di origine nordafricana, lui il batterista di un gruppo punk-rock la cui gloria sembra essere un lontano ricordo. Dopo la nascita di loro figlio, la famiglia decide di trasferirsi nella periferia parigina, a Bagnolet (Seine-Saint-Denis), dove partecipa attivamente alla vita del quartiere, lo stesso in cui Sofia ha trascorso la sua infanzia. Quando gli amici di Sofia e Paul ritirano i propri figli dalla scuola pubblica del distretto, optando per la tranquillità elitaria di un’istituto privato, il loro figlio Corentin diventa oggetto di minacce e proselitismo religioso da parte dei suoi compagni di classe. I coniugi Bagnolet vedono il loro ideale repubblicano sgretolarsi a contatto con la realtà, che presto li rimanda alle loro perenni contraddizioni di “borghesi bohemien di sinistra”. Impotenti, assistono all’aumentare del divario tra le loro convinzioni politiche e gli interessi personali, che possono riassumersi nel volere il meglio per il loro figlio.
Sono facilmente intuibili le costruzioni comiche generate da una tale situazione, e Leclerc ha il merito di affrontare la commedia sociologica parlando sia dell’ipocrisia di una certa borghesia di sinistra che delle sue paure, a volte giustificate. Ma il problema di Una classe per i ribelli sta proprio nelle sue ambizioni iniziali: il film non contempla i protagonisti, le situazioni e le loro avventure se non attraverso un prisma sociologico, che diventa presto insufficiente e, in definitiva, estenuante. Quando un personaggio parla, è il suo ambiente che si esprime. E il regista sembra credere che l’individualità sia una finzione: perché no, ma bisogna ricordarsi che la sociologia non è tutto, soprattutto nel cinema.
A causa di questo pregiudizio, nascono molteplici luoghi comuni sia nel modo in cui Leclerc filma la sua coppia sia nel modo in cui descrive una società francese sempre più divisa. Il giovane Corentin, ad esempio, si ritrova presto ad essere l’unico bianco della sua classe e i ragazzi neri e arabi sono ripresi come un gruppo tanto unito quanto inquietante. Non c’è dubbio, tuttavia, che il film tratti argomenti seri, emozionanti, e anche potenzialmente comici: ma non avendo il tempo per le sottigliezze, il film non è all’altezza delle sfide che solleva. Le partiture moderate di Bekhti e Baer non cambiano nulla. E il film ha un modo molto dubbio di coinvolgere il proprio pubblico: invece di discutere e sviscerare il cliché, preferisce perpetuarlo. L’inverosimile lieto fine finisce per riconciliare tutti, appianando ciò che è rimasto in tema di asperità.
Una classe per i ribelli, di Michel Lelerc, con Leila Bekhti, Edouard Baer, Ramzy Bedia, Eye Haidara, Baya Kasmi, Tom Lévy, Jacques Boudet