Più del 55% dei docenti non supera il concorsone. E sempre di più dietro la cattedra si respira un clima di resa. Ma perché la scuola boccia se stessa?
Settembre è il mese dei ripensamenti.
Da insegnante sono sempre tornata a scuola con un misto di piacere e di ansia sottile, come davanti a un promettente inizio fatto di progetti e cose da fare e sperimentare. In seguito sarebbe arrivata una discreta e rassicurante porzione di ordinarietà e di lavoro quotidiano, ma a settembre era così.
Da qualche tempo, parlando con amici e colleghi, avverto sempre di più disincanto, apprensione, disamore e voglia di andare via, in pensione, soprattutto tra gli over cinquanta. Questo non è bello e il clima diventa pesante e spesso inutilmente competitivo, un clima da resa, che nuoce all’idea stessa di scuola.
E pensare che quest’anno avrebbe dovuto cominciare in maniera brillante , con gli insegnanti al loro posto e per di più da vincitori di concorso. Mai accaduto nella storia della repubblica.
Ma non è andata così, e almeno novantamila cattedre saranno assegnate a supplenti annuali.
Qualcosa non ha funzionato, più di una per la verità. Ultimati gli scritti a fine aprile e dovendo di norma intercorrere un lasso di tempo di almeno venti giorni le prove orali hanno segnato il passo anche per un altro motivo: il compenso per ogni elaborato corretto è di 50 centesimi e molti commissari si sono dimessi, il che ha comportato una concitata e forzosa sostituzione, inframmezzata da ulteriori rinunce.
Il dato che più colpisce in ogni caso non è tanto la serie di disguidi che hanno compromesso le aspettative della ministra e del governo, quanto l’alto tasso di bocciati fino a questo momento: poco più di 32.000 su 71.448, pari al 55,2%. Come interpretare questo risultato? Come la scuola che boccia se stessa? Una buona parte delle polemiche si è incentrata sulle difficoltà e sulle astruserie di alcuni quesiti, altre sul tempo ristrettissimo riservato alle risposte, altre ancora sul fatto che i criteri di valutazione sono stati pubblicati due giorni dopo.
Partiamo dal primo punto. La formula del concorso tradizionale, dagli anni sessanta fino a quello del 2012, verteva sulla verifica delle conoscenze disciplinari del candidato su cui bisognava costruire un percorso didattico. Per fare un esempio: veniva proposto un brano di autori classici di cui bisognava fare nell’ordine traduzione, contestualizzazione di autore e opera da cui partire per proporre a una classe due ore di lezione con un capo e una coda, esplicitando inoltre che cosa si voleva ottenere e con quale metodologia .
Una collega plurivincitrice di tre classi di concorso nel 2012 lamenta il fatto che nel 2016 nelle domande sia scomparsa la formula magica “il candidato traduca” e si chiede giustamente qual è il discrimine fra chi padroneggia la materia e chi parla solo il ‘didattichese’. Domanda legittima.
Per quanto attiene i criteri di valutazione e la loro tardiva pubblicazione, il ritardo c’è stato, è vero , ma non cambia il corso degli eventi visto che sono principi base che vengono applicati in molte occasioni ove si renda necessario esprimere un giudizio di merito, compresa la maturità degli studenti. I criteri sono: pertinenza, correttezza linguistica, completezza, originalità , a cui vanno aggiunti criteri specifici differenziati per ambiti disciplinari, come è logico che sia.
In una cartolina un po’ seppiata ricordo il mio di concorso, orali 1978, scritti due o tre anni prima, forse anche quattro, non ricordo. Tempi biblici rispetto ad oggi .
Ero appena sbarcata a Nord e dopo otto anni di inutile precariato in Abruzzo, ebbi subito una supplenza annuale. Qualche tempo dopo mi arrivò la convocazione per gli orali che al tempo si svolgevano a Roma. Avevo a disposizione sei giorni per viaggio e studio. Un vero regalo.
Internet questo sconosciuto
Il giorno prima degli esami, come di prassi ci fu l’estrazione dell’argomento su cui preparare la lezione. Mi toccò Giustiniano, niente male. Il momento di massima alacrità e di eccitazione e che ricordo con una punta acuta di nostalgia, era quello che intercorreva tra l’estrazione e la prova orale. Biblioteche e librerie limitrofe prese letteralmente d’assalto, scambio veloce di opinioni in un coacervo solidale di appartenenza a un drappello che sta andando verso la vittoria o al macello
con grande determinazione. Niente internet, niente pc, niente tablet, solo carta stampata in forma di libro da consultare e compulsare prendendo appunti.
Il giorno dopo
Mi siedo, firmo sopraffatta dal l’adrenalina e , alla domanda “Come imposterebbe una lezione su Giustiniano?“, dò inizio al mio esame, prima con voce incerta, poi piano piano con buona sicurezza. Percepisco l’attenzione dei commissari e l’andamento positivo della prova.
L’insidia però non tarda a palesarsi. Vengo interrotta con apprezzamenti decisamente lusinghieri e subito dopo arriva il tiro mancino: “Partendo da Giustiniano potrebbe tracciare un veloce (sic!) excursus sulla questione d’Oriente fino alla seconda guerra mondiale?“. Accuso il colpo, arranco, ci provo, ma vivo la domanda come un colpo basso. Il commissario corregge in parte il quesito, offre qualche sponda, ma è dura lo stesso. Il supplizio dura circa venti minuti e oltre, un’eternità .
Dopo il breve intervallo di cortesia prima di passare alle altre prove, mi accoglie il largo sorriso della professoressa d’italiano, che io interpreto erroneamente come un “Suvvia, in fondo siamo colleghi” , accompagnato da una domanda al limite del cameratesco “Le piace Goldoni?“, . Rispondo serenamente e con troppa ingenuità , “Non particolarmente“, e scateno un putiferio di sarcasmo e un aumento ingiustificato del volume della voce della suddetta che vuole che tutta la commissione e tutto il mondo sappiano che non mi piace Goldoni. Timidamente cerco di dire che comunque conosco l’autore e che aspetto che mi si facciano domande in merito. Le domande arrivano e le risposte anche, ma il clima è compromesso.
Arrivo all’ultima prova con una piccola, insospettabile riserva di energia. Il commissario di latino
mi guarda e guarda con attenzione la pila di libri di testo che ho diligentemente portato con
me. Con un movimento quasi familiare sfila dal mucchio l’antologia latina e la apre dove le pagine sono più frequentate. Catullo, “se mi chiede Catullo” penso, “mi rialzo alla grande“. E così è, carme 76, traduzione, esegesi, contestualizzazione, tutto quello che vuole e anche di più .Dopo avermi concesso il piacere di rispondere in tutta sicurezza mi sorride e mi stringe la mano. La lezione di un professionista. Tempo totale un’ora e quarantacinque minuti. All’ultimo concorso, tutto organizzato con le più aggiornate tecnologie, la durata della prova orale è di trentacinque minuti.