“Se la strada potesse parlare”, tratto dal libro del grande scrittore nero americano, è la seconda e convincente prova di Barry Jenkins, il regista-Oscar 2017 di “Moonlight”. La questione razziale, in quel momento all’apice, e l’amore di due giovani di colore (l’esordiente, bravissima Kiki Layne e Stephan James, già in “Selma”), una splendida fotografia e le canzoni di un popolo in un film poetico
Ci sono film in cui capisci subito che le cose andranno male, tanto che raccontarlo non è neppure uno spoiler. Anzi, a mettersi subito l’anima in pace, magari ti contorci un po’ meno sulla poltroncina aspettando l’inevitabile mazzata, e assapori il più possibile quei momenti di rara tranquillità e bellezza che la vicenda in sé riesce a regalare. Un esempio è Se la strada potesse parlare, secondo lungometraggio del regista premio Oscar (per Moonlight) Barry Jenkins, che questa volta lo ha tratto dal romanzo If Beale Street Could Talk del grande scrittore afroamericano James Baldwin. Già capace di sbalordire pubblico e critica all’esordio, guadagnandosi le statuette dell’Academy e i Golden Globe al miglior film, Jenkins riesce per molti aspetti a replicare quanto di buono ha fatto con la sua opera prima, sfornando un nuovo racconto, sempre rigorosamente all black, carico di atmosfera, sentimento e poesia.
Sì, poesia. Se la strada potesse parlare è un film strano: a volte assume quasi sfumature da soap opera, altre volte darebbe lezioni in materia d’amore sul grande schermo persino a certi tanto osannati polpettoni sul tema (vero Cold War?). A volte rallenta ritmi e dialoghi fino quasi a fermarsi, altre volte raggiunge livelli di delicatezza tali che vorresti che ogni scena non finisse mai. Ma a mettere insieme ciascuna di queste anime in maniera incredibilmente valida è uno stile autoriale, quello di Jenkins, ben riconoscibile, definito e sicuro di sé. Supportata dai toni, accesi e morbidi allo stesso tempo, di una fotografia straordinaria, la mano del giovanissimo (non ancora quarantenne) regista di Miami accarezza e accompagna lo spettatore anche nei momenti più duri, tanto che, se da un lato la tragedia appare sempre dietro l’angolo, dall’altro è anche inevitabile credere e sperare in un lieto fine.
Così come è impossibile non affezionarsi agli sguardi dei due giovani protagonisti, l’esordiente ma bravissima Kiki Layne e il “veterano” in rampa di lancio Stephan James, già in Selma – La strada verso casa, Race – Il colore della vittoria e prossimo co-protagonista insieme a Julia Roberts nella miniserie Homecoming. Accanto a loro, un universo di volti e comprimari efficacissimi, tra cui la già pluripremiata Regina King (Golden Globe come migliore attrice non protagonista, oltre a premi della critica su tutto il territorio statunitense e non solo), l’ottimo attore teatrale Colman Domingo e persino le sorprese Dave Franco e Diego Luna, abituati ultimamente a palcoscenici di ben altro genere.
Il palcoscenico di Se la strada potesse parlare sono i quartieri afroamericani della New York anni Settanta (buona parte del film è girata ad Harlem) che si muovono e respirano attorno ai loro abitanti, con i loro colori e canzoni, ma anche e soprattutto con una questione razziale che proprio in quegli anni raggiungeva il suo apice. È lei, attraverso la lettura di estratti dallo stesso James Baldwin, a fare da triste sfondo all’intera vicenda, seppure in modo quasi strisciante, sussurrato e mai retorico. Non potrebbe essere altrimenti: sono i due poveri ma bellissimi amanti da cartolina la luce attorno a cui ruotano il romanzo e le due ore di pellicola, la loro forza dirompente buca lo schermo in ogni inquadratura, con dialoghi misurati e sguardi che dicono più di mille battute. Ecco perché, prima ancora che un racconto di denuncia sociale, è un film sulla speranza, “capace di conciliare il privato e il politico” secondo quanto dichiarato dal cast.
E se è vero che la citazione preferita di Jenkins dal romanzo dice “è stato l’amore a portarti qui”, il medesimo affetto traspare da ciascuna delle sue scelte – è bravissimo nell’orchestrare ogni elemento – dalla cura per le atmosfere e le musiche alla ricerca di costumi e ambienti. Il tutto per testimoniare il valore e rendere giustizia a una delle opere meno conosciute di Baldwin, cui il film è dedicato. Opera che a proiezione conclusa, è il miglior complimento che si possa fare ad attori e regista, viene decisamente voglia di procurarsi.
Se la strada potesse parlare di Barry Jenkins, con Kiki Layne, Stephan James, Regina King, Colman Domingo, Brian Tyree Henry, Dave Franco, Diego Luna