Dopo varie esperienze interessanti da documentarista (Terramatta Gli ultimi giorni di Francesco Mastrogiovanni), Costanza Quatriglio racconta qui le vicende di due fratelli fuggiti da piccoli dall’Afghanistan per ragioni etniche. Quando un giorno riusciranno a parlare al telefono con la madre che è rimasta là, scoprendo che è viva, nascerà il desiderio di riabbracciare lei e la loro patria
Sono molte le minoranze etniche, dal Nord Africa al Medio Oriente, che negli ultimi decenni hanno subito persecuzioni inenarrabili, spesso ignorate dall’Occidente: dai copti egiziani ai curdi, dagli yazidi ai cristiani iracheni. A questi si deve aggiungere il popolo Hazara, contro il quale in Afghanistan i talebani hanno condotto quasi un genocidio. Oggi la loro storia ci viene narrata grazie a Sembra mio figlio, ultimo film della regista italiana Costanza Quatriglio presentato al Festival di Locarno.
Ismail (Basir Ahang) e Hassan (Dawood Yousefi) sono due fratelli afghani trapiantati a Trieste, fuggiti dal loro paese quando erano piccoli. Dopo tanti anni, Ismail riesce a contattare sua madre, rimasta in Afghanistan, della quale aveva perso le tracce. Ciò porterà lui e il fratello a fare i conti con il proprio passato, oltre che con quello del loro popolo.
Sin dalle prime scene, pur non capendo ancora appieno il contesto, ci accorgiamo che i protagonisti nascondono molte ferite, e non solo nel corpo: sebbene Hassan sia il maggiore dei due, è Ismail a prendersi cura di lui, poiché il primo ha subito abusi che il fratello può solo immaginare. Anche Ismail, tuttavia, è un tipo molto taciturno, e l’unica persona che riesce a farlo uscire in parte dal suo guscio è la bella Nina (Tihana Lazovic), una ragazza con cui fornisce assistenza ai profughi afghani che varcano il confine sloveno. E quando per la prima volta dopo vent’anni Ismail riesce a telefonare alla madre, all’inizio lei sembra non riconoscerlo.
L’idea alla base del film, come ha spiegato la stessa Quatriglio, deriva da un incontro che la regista ha avuto anni fa con Mohammad Jan Azad, alle cui vicende il film è ispirato e che ha collaborato alla sceneggiatura, un giovane rifugiato che come il protagonista aiutava altri nella sua situazione e intanto sperava di ritrovare la propria famiglia; un giorno, quando questi riuscì finalmente a trovare i contatti della madre e a telefonarle, lei rispose: “Sembra mio figlio.”
Basir Ahang interpreta piuttosto bene un personaggio che ha molto in comune con l’interprete: infatti Ahang non è un attore professionista, bensì un giornalista e poeta afghano emigrato in Italia che si occupa spesso di temi legati ai rifugiati. Altrettanto bravo è Yousefi, che nella vita reale è stato davvero un profugo fuggito dall’Afghanistan a 17 anni, dove ha assistito a efferatezze per noi inconcepibili. E anche l’attrice croata Tihana Lazovic riesce a dimostrare un buon talento
Tra molti pregi, la pellicola ha però anche un grosso difetto, la sua quasi totale mancanza di suoni: la maggior parte delle scene sono lunghe e silenziose, spesso prive di una colonna sonora, rendendo il film a tratti monotono. Ciò viene in parte compensato da scene forti come quelle in cui Ismail riesce a parlare con sua madre..
Dopo anni trascorsi a girare documentari (Terramatta, Gli ultimi giorni di Francesco Mastrogiovanni), la Quatriglio torna con un film narrativo dove tuttavia continua a trattare temi scottanti. Si spera che questa sua opera riesca a far conoscere la storia di un popolo il cui unico crimine, per i talebani, è quello di esistere.
Sembra mio figlio, di Costanza Quatriglio, con Basir Ahnang, Dawood Yousefi, Tihana Lazovic