Una mostra, una storiella, e l’inizio di un possibile manifesto pittorico. Riflessioni profonde a partire da piccole mostre.
La galleria Monica De Cardenas ospita Sometimes my Eyes are the Eyes of a Stranger, personale del pittore rumeno Serban Savu (Sighișoara, 1978). Savu dipinge paesaggi antropizzati provenienti dalla sua Romania, ingrigita dal cemento del comunismo; una terra lattiginosa di prostitute e miseri bagnanti, percorsa da tir e punteggiata da case prefabbricate.
Nel comunicato stampa della mostra si menziona l’interesse dell’artista nei confronti della pittura veneziana. Interesse che emerge ben poco dai dipinti, la cui luce soffusa e lontana si risolve in un’opacità che ricorda più la tempera che l’olio di cui sono fatti. Persino nella buona pennellata a tocco di cui Savu fa spesso uso per alberi e arbusti, il pittore mantiene una tale congruenza e ordine del gesto che viene da pensare alle illustrazioni popolari degli anni Cinquanta piuttosto che alla carnalità libera e sprezzante dei foschi veneti. Viene più spontaneo, piuttosto, l’accostamento alla malinconia sociale di Edward Hopper.
Ma ora vi racconto una storia: poche settimane fa, nello studio di un noto pittore iracheno based-in-Berlin, si è potuto assistere a una fervida lite tra il medesimo e un suo collega tedesco. Il tedesco aveva appena finito di dipingere un intero ciclo di opere ambientate nell’Iraq anni Ottanta; erano opere, queste, puramente pittoriche e totalmente infedeli al passato storico. L’iracheno, sconvolto, non poté far altro che reclamare l’illegittimità di quell’interpretazione, facendo appello alla propria testimonianza diretta e al diritto di veto che l’aver studiato in una accademia d’arte irachena gli conferiva.
L’esiguo pubblico convenne che, nella sfida tra i due, l’opera migliore era quella che non si era preoccupata d’essere fedele, e cioè quella del tedesco. Pittura e Fedeltà (sentimentale o politica, a una terra, ma anche alla propria visione) hanno ben poco da spartire.
Preferiamo continuare a ingannarci sognando che la Romania sia ancora Cioran, Ionesco, Eliade e Celan, o aderire alla realistica visione di Savu?
“Serban Savu”, Galleria Monica De Cardenas, fino al 28 febbraio 2015.
Foto: Serban Savu, Three Graces, 2014.