Una grande casa, un grande parco, una grande famiglia: disfunzionale, cinica, cattiva ed educatissima. Aggiungete l’annuncio via fantasma della fine del mondo, una setta che chiede ufficialmente di far atterrare gli alieni in giardino, una costruzione di alleanze e di odi reciproci, dialoghi e battute scorticanti. È l’humor nero di “La Meridiana” di Shirley Jackson (Adelphi).
Sono strani i romanzi di Shirley Jackson.
Prima di tutto i suoi personaggi sono cattivissimi, maligni, e molto ben educati.
Di solito vivono in sontuose dimore, così isolati dal resto del mondo che non capisci bene in che periodo
si svolga la loro esistenza.
Poi tutto, caratteri, vestiti e travestimenti, arredi, ragionamenti, è pervaso da un tagliente humor, ovviamente nero e da un sarcasmo che lascia col fiato sospeso. Ci aspetteremmo un autore e
un’ambientazione inglese, invece sono tutti americanissimi. Il che disorienta ancor di più, e ci lascia ancora di più in balia della perfida, eccentrica Shirley Jackson.
La trama di questo suo ultimo romanzo, La Meridiana, oggi pubblicato da Adelphi e apparso per la prima volta nel 1958, è da feuilleton catastrofico.
Non c’è niente di meglio per dare un’idea di quel che ci aspetta che riprendere la prima pagina de La Meridiana:
Dopo il funerale fecero ritorno alla villa, che ora apparteneva incontestabilmente a Mrs. Halloran. Si fermarono a disagio, senza alcuna certezza, nel grande, magnifico atrio, guardando Mrs. Halloran dirigersi nell’ala destra della villa per far sapere a Mr. Halloran che le esequie di Lionel si erano svolte senza
melodrammi. La giovane Mrs. Halloran, seguendo con lo sguardo la suocera, disse senza speranza:
”Magari schiatta sulla soglia. Fancy, tesoro, ti piacerebbe vedere la nonna schiattare sulla
soglia?”
“Sì, mamma”.
Conversazione e battute al cianuro fatte da una madre che ha appena sepolto il figlio e dalla nuora che ha appena sepolto il marito, e dalla undicenne figlioletta che ha appena sepolto il papà.
Neanche l’ombra di una lacrima o vago rimpianto. Nessuno ci pensa proprio.
Scopriamo invece che tutti sanno, o pensano di sapere, che è stata la madre a spingere giù dalle scale il figlio Lionel per ereditarne tutte le (immense) ricchezze.
E sappiamo anche che la piccola Fancy scalpita per fare altrettanto alla odiosa nonna, sotto l’occhio benevolo della mamma.
Nella villa c’è un sacco di gente bizzarra, oltre alla numerosa servitù.
C’è una raffinata dama di compagnia, che civetta col vecchio, rimbabito Mr. Halloran, c’è un bibliotecario colto e galante, ci sono vari amici e profittatori e, soprattutto, c’è la zia Fanny, sorella spodestata di Mr. Halloran, che trascina tutti in un delirio di visioni, di medium, di sette che predicono l’imminente fine del mondo.
Del resto, la predizione che la donna riceve nel parco dal fantasma del marito defunto ha i numeri per suscitare nella bizzarra combriccola un certo interesse: solo gli abitanti della villa, infatti, a quanto pare, sopravviveranno.
All’inizio tutti prendono in giro zia Fanny, poi c’è chi avverte improvvisi segnali dall’al di là, e, mentre suona alla porta la delegazione dei Veri Credenti a postulare il permesso di far atterrare gli alieni nel parco della villa, poiché proprio agli ultraterrestri gli umani potranno affidare la loro salvezza, si compone tra gli ospiti un gioco di alleanze pro e contro, mentre gli abitanti continuano a scambiarsi ruoli e opinioni.
Irresistibili le liste degli oggetti, degli approvvigionamenti, della spesa per prepararsi alla futura catastrofe. La regia è in mano a Mrs. Halloran, che è sempre più padrona e dispotica, tanto che a un certo punto si fa fare una corona d’oro, che porta sempre sulla testa, suscitando risa dietro le spalle, ma obbedienza cieca davanti.
Quando si decide di dare una festa da mille e una notte la vigilia della fine del mondo per tutti gli abitanti del villaggio vicino (che non avevano mai varcato le mura della grande villa) siamo ormai nelle mani di Shirley Jackson, che in un crescendo di follia, humor, sorpresa completerà la sua missione: spiazzarci. E divertirci.