Era alto e vigoroso, ma il suo viso non assomigliava per niente all’immagine del detective perfetto. Non aveva niente del personaggio del romanzo poliziesco. La faccia era rotonda, un po’ rosa. Un viso da contadinotto. Gli occhi erano piuttosto ingenui: era il commissario Maigret
Negli anni ’20 del secolo scorso, camminando lungo l’affollata strada parigina che fiancheggia il Moulin Rouge, ci saremmo imbattuti in una gabbia di vetro e, attoniti, avremmo osservato un giovanissimo scrittore chino sulla macchina da scrivere, in preda ad un curioso stato febbrile. Plichi di fogli intonsi sulla scrivania del giovane e centinaia di pagine scritte attaccate alle pareti di vetro. Avvicinandoci, avremmo letto le straordinarie pagine di Georges Simenon.
Così, avvenne realmente, o almeno a livello progettuale, che gli editori dell’esordiente Simenon, sbalorditi dalla sua velocità di scrittura, ne sfruttassero la dote straordinaria per creare un vero e proprio caso editoriale, facendo costruire una stanza di vetro dove i passanti potessero assistere alla sua furia creativa. Grazie ad un ritmo elevatissimo, Simenon era in grado di scrivere e consegnare un romanzo nel giro di una decina di giorni; in quell’occasione la sfida annunciava un intero romanzo in sole settantadue ore.
Alla luce di una produzione così ampia, si chiarisce il progetto della casa editrice Adelphi, che nel 2013 ha inaugurato la nuova collana “I Maigret”, raccogliendo in quattordici volumi i settanta romanzi dedicati alle inchieste del commissario. Recentemente, è stato pubblicato il quattordicesimo volume della collezione che, come i precedenti, contiene cinque romanzi, nella fattispecie scritti tra il 1967 e il 1969: Il ladro di Maigret, Maigret a Vichy, Maigret è prudente, L’amico d’infanzia di Maigret, Maigret e l’omicida di Rue Popincourt.
Simenon è uno di quegli autori dove il temuto binomio vita-letteratura gioca un ruolo essenziale nella comprensione della sua vasta produzione.
Segnata dai conflitti dei genitori e dalla precaria condizione famigliare, quella dello scrittore era stata un’infanzia sofferta. Gracile e malaticcio, Georges si era rivelato un bambino precocissimo: a dodici anni leggeva Conrad e Stendhal, a sedici lavorava come collaboratore fisso alla Gazzetta di Liegi e a ventisei dava vita al suo più famoso e affezionato personaggio, il commissario Maigret. Un viscerale desiderio di riscatto alimentava il fuoco sacro della scrittura, che costituiva per Simenon l’unica possibilità di passare da una vita grama e faticosa agli agi e alle sicurezze del successo.
La sua vita ha i contorni di una leggenda, dalla quale scaturisce una figura complessa, piena di contraddizioni e – diciamolo – terribilmente intrigante.
Georges Simenon visse sempre nel segno dell’eccesso: leggeva decine di libri a settimana e in un anno ne scriveva altrettanti, si vantava pubblicamente di aver avuto diecimila amanti – Josephine Baker fu la più chiacchierata – e, come se non bastasse, aveva vissuto in Belgio, Francia, Stati Uniti, Canada e Svizzera, concedendosi, di tanto in tanto, mirabili viaggi in Africa, Oriente e Polinesia.
Amava la libertà, così come la mancanza di convenzioni e riferimenti, ma allo stesso tempo era terrorizzato dalla precarietà e dall’incertezza. Da qui, la sua paura-desiderio di diventare un clochard, come affermò in un’intervista rilasciata per la rivista “Médecine et hygiène” nella sua villa di Epalinges a Losanna. Lo scrittore in quell’occasione si sottopose alle domande di cinque medici psichiatri svizzeri e, in una sorta di lunga confessione, Simenon svelò le strane meraviglie dell’atto creativo. La scrittura, proprio come il matrimonio, era per Georges una difesa alla sua estrema tensione verso la sregolatezza, una sorta di riequilibratore psichico che lo investiva come un’esperienza totalizzante. L’atto di scrittura non si limitava ad un’esperienza spirituale, ma lo travolgeva fisicamente, al punto da sviluppare una dipendenza ossessiva e fisiologica. La tensione creativa lo portava a bruciare molte energie, tanto che alla fine di ogni seduta di scrittura Simenon si trovava i vestiti inzuppati di sudore, era sfibrato e privo di qualsiasi energia: concluso un romanzo, aveva solitamente perso cinque chili. D’altra parte, lo stato di romanzo in cui cadeva lo scrittore si presentava proprio come una trance, dove l’impulso irresistibile alla scrittura si trasformava in una smania furiosa, interrotta talvolta da crisi di singhiozzo e conati di vomito. Per quanto tutto ciò possa sembrare leggenda, non fatichiamo a credere che, dietro a una produzione esorbitante come quella di Simenon, si celasse un meccanismo misterioso e straordinario.
Tutto cominciava da un dettaglio, da un personaggio che cominciava a delinearsi nella sua immaginazione, da un’atmosfera, da un motivo musicale che gli risuonava in testa. Simenon vi si immedesimava per alcuni giorni, poi cominciava a scrivere senza una reale idea dell’intreccio, che si sviluppava giorno per giorno, scaturendo con naturalezza dai personaggi e dagli ambienti di cui l’autore si era inzuppato. Il suo non-metodo confluiva in una trama estremamente lineare, in contro tendenza rispetto alle intricate trame del genere poliziesco.
I romanzi del commissario Maigret sono pervasi da una tranquillità insolita, che non è apparente o funzionale ad un meccanismo di suspense, è una tranquillità reale, dentro cui, ad un certo punto della narrazione, si avverte una crepa, un sussulto che ci mette in guardia, e lì sappiamo che qualcosa si sta smuovendo. Maigret ha avuto un’intuizione decisiva e quel mondo tranquillo è in procinto di capovolgersi.
A compensare chiarezza e linearità della narrazione di Simenon, vi è una complessa indagine dell’animo umano, mai scontata e condotta con l’estrema sensibilità di uno spirito osservatore. Proprio in virtù di questa dote “psicanalitica”, Maigret si accosta ai più disparati soggetti senza alcun pregiudizio, alcuna visione preformata, ed è così che riesce a farci conoscere l’assassino sotto una diversa luce. Pierre Boileau, grande esperto di Simenon, rilevò come nelle inchieste del commissario Maigret fosse importante non tanto identificare l’assassino, quanto capirlo, decifrare l’enigma della sua persona e non quello risultante dalle sue azioni, per quanto misteriose. In molti casi, infatti, finiamo per stare dalla parte dell’assassino, o in qualche modo a giustificarlo, senza che un duro giudizio cada irrimediabilmente su chi ha commesso un atto atroce. Insomma, giudizi facili e affrettati non ce li possiamo concedere con il nostro commissario, che ci obbliga, piuttosto, ad una visione complessa delle zone d’ombra. Distinzioni manichee tra Bene e Male lasciamole ai muscolosi investigatori americani! La sfaccettata realtà di Simenon offre orizzonti aperti, dove il lettore non è condotto con forza, ma lasciato in qualche modo libero di interpretare e giudicare secondo le proprie categorie. Rispetto al più diffuso romanzo poliziesco, la lettura di Simenon implica uno sforzo ulteriore, perché se ci offre una soluzione all’enigma “chi è stato?”, così non dà risposta alle nostre domande esistenziali su cosa sia Bene e cosa sia Male, sfumando decisamente la linea tra luce ed ombra.
Accostandoci alla biografia di Simenon, non si può che cogliere una forte similitudine tra i metodi dell’autore e quelli del commissario Maigret, che sposta la classica domanda del romanzo giallo dal “chi è stato?” al “perché è stato?”. Maigret si mette dalla parte del morto, per capire l’ambiente in cui è avvenuto il delitto, inzuppandovisi completamente. Rimugina per giorni interi e si ingrossa di queste atmosfere. Quando è saturo di tutto, allora gli scatta un’idea, concatenando tutto ciò che ha assorbito. Il procedimento è narrativamente lento e l’atmosfera ne è protagonista assoluta. Allo stesso modo, Simenon si immedesimava in personaggi e atmosfere per giorni interi, prima di accingersi all’atto di scrittura. Se i metodi sono simili non si può dire altrettanto delle personalità dell’autore e del suo commissario. Il commissario Maigret è un bon homme, un borghese legato alle sue abitudini, felicemente sposato, che ama trascorrere le serate al cinema con la moglie Louise, pranzare nei migliori bistrot parigini e assaporare favolosi manicaretti preparati dalla moglie. È sostanzialmente il riflesso dell’uomo piccolo-borghese. Fu lo stesso Simenon ad affermare: “Io non mi identifico in Maigret, non ho mai immaginato di assomigliare a Maigret”. Una personalità molto più eccentrica e ossessiva caratterizzava l’autore, di cui nel commissario se ne intravedono soltanto poche tracce; ad accomunarli – e non è poco – rimangono lo spiccato spirito osservatore e un insolito metodo d’indagine.
Jules Maigret nasce dalla penna di Georges Simenon in un giorno d’estate del 1928. Ben caratterizzato nell’immaginazione dell’autore si imprime sulla pagina con una forza plastica rara. La sua figura si staglia inconfondibile nel panorama letterario, valicando i confini del genere giallo e raggiungendo un pubblico amante dei classici. Simenon racconta la nascita del personaggio con la semplicità e la naturalezza che lo contraddistinguono. Dietro le storie dello scrittore non si nascondono faticosi progetti di scrittura, né intellettualismo, né ricercatezza letteraria, che, nella loro assenza, non intendono sottrarre merito ad un’opera di indubbio valore letterario. La chiave di scrittura per Simenon era una semplicità delicata, assolutamente non casuale, che nasceva da uno spirito nutrito e finemente coltivato. L’umanità era osservata con l’occhio ereditato dal Realismo francese: semplicità ed estrema verità erano le lenti attraverso cui l’autore guardava il mondo.
Come lo schizzo di un pittore, ecco tratteggiato per la prima volta il personaggio di Jules Maigret:
Mi rivedo in una mattina soleggiata seduto in un caffè. Avevo bevuto uno, due o forse tre bicchierini di acquavite di ginepro spruzzato con qualche goccia di bitter. Fatto sta che dopo un’ora, un po’ sonnolento, comincio a vedere delinearsi la massa imponente e impassibile di un signore che, a mio avviso, sarebbe potuto essere un commissario accettabile. Nel corso della giornata, aggiunsi al personaggio qualche accessorio: una pipa, una bombetta, e un cappotto pesante col bavero di velluto. E siccome regnava un freddo umido nella mia chiatta abbandonata, gli concessi, per il suo ufficio, una vecchia stufa di ghisa.
La scena si svolge all’inizio dell’estate 1928 e precisamente a Lione, dove la barca dello scrittore è attraccata al molo e Simenon, con indosso una paio di pantaloni da marinaio e un maglione scolorito, vede stagliarsi nel proprio inconscio il personaggio del commissario.
Era alto e vigoroso, ma il suo viso non assomigliava per niente all’immagine del detective perfetto. Non aveva niente del personaggio del romanzo poliziesco. La faccia era rotonda, un po’ rosa. Un viso da contadinotto. Gli occhi erano piuttosto ingenui […]. Dondolava la testa mentre camminava, come se stesse parlando costantemente tra sé e sé. E le braccia dondolanti erano enormi […]. Sarebbe difficile rendere un’immagine più forte della calma e fredda pazienza, dell’ostinazione e della flemma caratterizzanti il commissario […]. Una pipa lo accompagnava in ogni momento, lui la caricava con cura, l’accendeva e cominciava a fumare andando su e giù per la stanza.
La spiccata caratterizzazione del commissario gli varrà le interpretazioni magistrali di Bruno Cremer in Francia e di Gino Cervi in Italia, per due fortunate trasposizioni televisive, che consacreranno Jules Maigret a paradigma dell’investigatore europeo.
La semplicità accennata si rintraccia anche nel tessuto linguistico, la cui trama è tessuta secondo una scelta accurata della parola. E’ proprio il peso di una parola meticolosamente scelta – in questo senso “poetica” – a compensare la scarsa aggettivazione, che a sua volta non funge mai da riempitivo, quanto a definire con precisione singolare. Uno dei meriti di Georges Simenon è stato proprio quello di dare dignità letteraria ad un genere spesso associato ad un registro medio-basso.
Il poliziesco in Italia, grazie all’esperienza di Gadda, Sciascia e Camilleri, ha brillantemente superato tale discriminazione di genere, ritagliandosi un meritato spazio nello scaffale dei classici. Al contrario Simenon, relegato ad autore di gialli, incontra tuttora resistenze molto forti nel mondo letterario e delle università, faticando ad affermarsi come scrittore tout court in lingua francese.
La nostra breve indagine finisce qui. Il commissario ci sta osservando accigliato: è ora di aprire l’alto volume di Adelphi, immergerci nella lettura e sprofondare nel mondo di Jules Maigret.