RECENSIONE – “Anarchytecture” degli Skunk Anansie
Con Anarchytecture gli Skunk Anansie hanno compiuto un enorme lavoro di restyling; non che ne avessero bisogno, anzi il vecchio sound mi piaceva parecchio, ma ho sempre ammirato quelle band che provano (e a volte riescono) a reinventarsi in ogni nuovo lavoro.
Dopo 20 anni che calcano la scena rock internazionale, gli Skunk Anansie guidati dalla meravigliosa Skin tornano con un nuovo potente album presentato con il singolo Love Someone Else, che è diventato in poco tempo un tormentone da ballare e cantare. Che succede, gli Skunk Anansie sono forse diventati improvvisamente pop? Lo smentisce subito la seconda traccia dell’album Victim, la canzone preferita di Skin per la sua “dark and sexy melody”, che insieme alla strumentale Suckers! rappresenta l’apice dell’album.
Continuando l’ascolto, subito si passa dal rock di Beauty is Your Curse al pop elettronico Death To The Lovers, canzone con un testo delicato tipico della creativa originalità di Skin; parla d’amore e di sentimenti contrastanti. E ascoltarlo è un piacere.
I feel troubled, troubled? who I am?, Spirit moving, darkness comes, I feel magnificent.
I’m sinkin’in, the love has failed. The world goes crushing down to hell. I try.
I’m breathing in, I’m chocking out. All sentiment has faded out. Just died, died.
I see death for the lovers.
Non si fa in tempo a godersi un attimo di pausa che subito torna il ritmo incalzante con In the back room; la voce graffiante di Skin si fonde con un sound a metà tra disco e rock, ma la canzone non colpisce, così come la successiva Bullets. Orecchiabile è invece il rock frenetico di The Sinking Feeling, che finalmente mostra un’energia e un ritmo che mancano nel resto dell’album.
Without you e We are the Flames – quest’ultima di argomento politico – passano veloci durante l’ascolto, lasciando piuttosto indifferenti. L’album si chiude con la ballad I let you down, che al primo ascolto fa pensare soltanto a quanto sia perfetta la voce di Skin.
Anarchytecture è nel complesso un buon album, costruito con l’intento di mischiare struttura e caos, organizzazione e libertà, proprio come indica il titolo scelto dalla band. Pensare però che questo sia al livello dei primi lavori – sia musicalmente sia per i testi – è difficile; già dal loro debutto Paranoid and Sunburnt (era il 1995) gli Skunk Anansie hanno dimostrato di avere delle enormi potenzialità e una creatività provocatoria. Da quell’album arrivano la potente Selling Jesus, il tormentone Weak, e la disincantata I can dream (Pain is your beauty, it hurts the vision in our eyes. Your eyes are smiling now, they watch me cry, they watch me die, watch me die. I can dream that I’m someone else).
Quello era un rock sporco, che ti entrava dritto in testa e che ti diceva esattamente quello che ti doveva dire, senza giri di parole. Da quel loro esordio gli Skunk Anansie hanno creato moltissime tracce alternative rock di qualità e – va detto – anche qualche canzone di questo album può essere paragonata a quelle degli esordi; ma nel complesso l’album manca di quella incisività che ci aveva fatto innamorare di Paranoid & Sunburnt, Stoosh o Wonderlustre.
Skunk Anansie, Anarchytecture, EarMusic (2016)
Skunk Anansie live stasera all’Alcatraz