Edward Snowden secondo Oliver Stone: Internet e la libertà, una cine-biografia

In Cinema

Con grande maestria il regista di “Platoon” mette in immagini la storia dell’agente federale che ha rivelato lo spionaggio, spesso illegale, delle agenzie di sicurezza americane Cia e Nsa ai danni di milioni di abitanti di tutto il mondo. La sua ricostruzione resta sempre di fiction, ma con attori in gran forma (Joseph Gordon Lewitt, Melissa Leo) non si allontana mai dagli eventi realmente accaduti. E anche se non manca lo Snowden personale, restituisce con forza e ritmo l’insieme del contesto, politico e militare, della sua storia di eroe, che svela al cittadino comune i poteri occulti del web

Il mondo contemporaneo si è quasi interamente trasferito in rete: un processo iniziato nei primi anni del ventunesimo secolo, e oggi emerso in tutta la sua complessità. E questa doppia identità ontologica del reale ha cambiato così tanto le regole del gioco, che anche la morale collettiva ha presto finito per deformarsi, in ogni suo aspetto relazionato a internet, fino a raggiungere un relativismo quasi pervasivo. Molti poteri forti hanno approfittato di questa visione smorzata dell’etica, trasformandola in una potentissima arma per monitorare le masse e uniformarne i gusti e le scelte, rendendole meno pericolose e più manovrabili, fino a diventare quasi pedine da muovere sui vastissimi terreni di una guerra per la supremazia totale, silente, ma quanto mai effettiva.

Mentre nell’era della contestazione politica, più di quarant’anni fa, schiere di importanti intellettuali si infilavano tra le pieghe del potere costituito, minandolo attraverso la cultura anche nelle sue forme più canoniche, oggi sembra essere diventato fondamentale conoscere alla perfezione il mezzo – il web – attraverso il quale tale pervasiva amministrazione della coscienza collettiva viene gestita da parte di chi ne ha la responsabilità o semplicemente la possibilità.

Questi temi vasti e importantissimi affronta Snowden di Oliver Stone, con l’intento di delineare la figura limpida del porta bandiera dei nuovi “eroi digitali”, attraverso una narrazione punto per punto del suo percorso personale. Ma come spesso è accaduto nei biopic più recenti (il Pasolini di Abel Ferrara, lo Steve Jobs di Boyle/Sorkin, il Neruda di Pablo Larrain, Quinto potere di Bill Condon su Julian Assange), il personaggio di cui si narra finisce per svelare in realtà un intero mondo, che rappresenta attraverso le sue gesta e ciò che gli accade e/o gli viene inflitto, assumendo quasi le caratteristiche di un luogo ideale, più che le dimensioni narrative e psicologiche di una persona in carne e ossa.

Stone, sceneggiatore oltre che regista del film, raccoglie consapevolmente questa dinamica, adottando i termini della società dell’immagine, dove ogni individuo che abbia lasciato un’impronta di se stesso diventa immediatamente un simbolo da idealizzare, alla storia di un uomo che a conti fatti ha cercato di combattere la distrazione dai problemi più significativi del cittadino medio, suscitata spesso da una descrizione superficiale della realtà. E portando alla luce, con effetti sconvolgenti sull’opinione pubblica e le società politiche mondiali, gli abusi che agenzie governative come C.I.A. e N.S.A. hanno compiuto sulla privacy di ogni comune abitante del mondo.

L’idealizzazione quasi totemica del simbolo Snowden, interpretato nel film da Joseph Gordon-Levitt (mentre Melissa Leo è Laura Poitras e Shaileene Woodley è Lindsay Mills, compagna di vita del protagonista) riesce però a evitare ai termini di una facile propaganda progressista – come spesso è accaduto nel miglior cinema di Stone – partendo da una serrata esposizione dei fatti che ha come origine il celebre documentario Citizen Four di Laura Poitras (2014), a sua volta regista e documentarista americana di primo piano che ha seguito in diretta il momento clou del caso Snowden, la cui gestazione viene messa largamente in scena nello stesso film di Stone.

Il quale tiene come costante riferimento la realtà dei fatti, facendola scorrere parallelamente alla finzione durante tutto l’arco drammaturgico dell’opera, fino a sovrapporre completamente, nel finale, i due momenti: e anche quando il “vero” Edward Snowden appare nell’ultima scena, il lungometraggio non cambia comunque passo in una direzione documentaristica, anzi riesce nell’intento di accentuare la potenza derivata della vita vera sul mezzo cinematografico.

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Da queste solide basi il film fa derivare il suo ruolo più “utile”. L’impostazione costante da opera classica permette agli autori di avvicinare senza ostacoli  l’immaginario dello spettatore medio, che fatica di più a incrociare la propria visione sul terreno del film-documento – anche nei suoi esempi migliori, come Citizen Four-  ma è più attratto dal tradizionale percorso dell’eroe che questo lavoro rispetta senza incertezze, e grazie al quale fa passare a un audience più ampia possibile un messaggio di rivalsa e di consapevolezza. E proprio nei confronti di quei poteri forti che hanno sempre tentato di addormentare soprattutto  questo tipo di platea.

Nell’era della post truth, in cui la mistificazione dei fatti viene confezionata furbescamente come mai prima, una forma di “resistenza” risulta efficace se riesce ad appropriarsi di una confezione fruibile, che al tempo stesso conservi un livello qualitativo alto, ma ampli anche il pubblico a cui si rivolge.

Snowden di Oliver Stone, con Joseph Gordon-Levitt, Melissa Leo, Shaileene Woodley, Nicholas Cage

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