Classici riletti guardando alle domande e alle angosce del presente. Ispirati dal romanzo di Antonio Scurati, gli Anagoor mettono in scena ‘Socrate il sopravvissuto/Come le foglie’, operazione ricercata sul senso e la possibilità della trasmissione dei saperi tra la caverna del filososo e una classe di oggi, teatro di un massacro
Il nome di Socrate nel titolo di uno spettacolo teatrale fa venire in mente recite scolastiche, mattinate per ragazzi semi dormienti che ascoltano in trance o non ascoltano per niente, scherzano, chiacchierano. Roba classica, sinonimo di roba noiosa detto in gergo.
L’unica che ha capovolto la regola è stata Franca Valeri che con La vedova Socrate ha scritto uno dei suoi testi più spiritosi e colti. Ma oggi il teatro classico è tornato, come dire, di moda, e a dire il vero non è stato mai superato; è di moda, oltre gli allestimenti rituali delle tragedie come a Siracusa nel teatro greco, la rilettura dei classici tenendo la lente rivolta alle angosce di oggi e l’esercizio di una nuova drammaturgia, tutta di giovani, che naturalmente tiene molto conto del presente. È questo il segreto del successo di Santa Estasi lo spettacolo capolavoro, lo spettacolo monstre di Antonio Latella (19 ore visto tutto insieme, ma si può prendere anche a una tragedia per sera), cioè la saga degli Atridi riveduta e corretta con fedeltà da alcuni dotatissimi giovani che hanno riscritto e recitato come meglio non si può. Oppure Ifigenia liberata di Carmelo Rifici che fa un’operazione un poco pirandelliana: come si mette in scena oggi Ifigenia? Ed anche qui prepotenti trovate, quel senso del doppio binario tra finto e reale che in scena ha sempre una grandissima valenza emotiva: anche in questo caso, un bellissimo “esercizio”.
Insomma classici sì, ma nella dimensione di una scrittura di oggi e ci sono scrittori specialisti in questa operazione che non tradisce ma trasloca il senso antico delle tragedie nel nostro presente storico: Angela Demattè, Fabrizio Sinisi, Linda Dalisi, Federico Bellini sono alcuni di questi messaggeri di odio e d’amore che ci fanno rileggere antiche pagine con occhi nuovi e senza far sconti a nessuno. Un esempio abbastanza magistrale di questa tendenza viene dalla giovane ma già acclamata e premiata (Leone d’argento alla Biennale di Venezia) compagnia degli Anagoor (il titolo viene da un libro di Buzzati), che viene dalla provincia dell’impero teatrale, ma è capace di sedurre il pubblico con un attore pazzesco, Marco Menegoni, in grado di recitare un intero canto dell’Eneide in latino incatenando la platea.
Il gruppo nato nel 2000 diretto da Simone Derai viene da Castelfranco Veneto, ed usa molti ragazzi di quel liceo, ma ora è richiesto in tutto il mondo: a luglio debuttano alla Biennale di Venezia con una nuova Orestea e, a settembre, portano a Parigi questo spettacolo che ora si ferma cinque giorni dall’11 al 15 aprile (già pressoché esauriti) al Teatro Studio Melato di Milano, cioè Socrate il sopravvissuto / come le foglie, titolo ricercato per un’operazione ricercata che si spinge ad una equivalenza audace ma con un suo senso preciso in un’epoca in cui è diventato quasi normale almeno in America entrare in una scuola, in un campus e fare una carneficina senza un perché.
Morti misteriose in una università, come scriveva Orhan Pamuk in Neve e come è davvero accaduto due giorni fa in una città turca, Eskisehir. “Socrate…” ipotizza, usando un grande fascino teatrale, la vicinanza sociale e culturale tra la morte del filosofo che bevve la cicuta in carcere e l’eccidio (molto all’americana) di una intera commissione di maturità, in cui si salva non a caso solo il professore di filosofia, immaginata da Antonio Scurati nel suo romanzo Il sopravvissuto uscito da alcuni anni. In fondo non c’è niente di più attuale del passato e la pistola di un killer a scuola ci fa tornare nella cella di Socrate.
Lo dicono appunto con la loro arte teatrale che viene da lontano (Kantor sicuro, ma anche la Bausch) gli Anagoor, dopo aver debuttato nella lirica col Faust di Gounod, dove hanno usato come sempre il video, indizio e sospetto di una trasversalità teatral cinematografica, come in un film di Gus Van Sant, regista di Elephant, cronaca del massacro alla Columbine High School raccontato anche da Michael Moore nel documentario contro l’uso facile delle armi. Dice Derai consapevole di onore e onori, del peso e della responsabilità del tema, capace di dar sostanza alle parole e ai silenzi: “Col romanzo di Scurati avevamo un appuntamento dal 2005, diventato poi obbligatorio con la crisi educativa. Attenzione, il nostro Socrate non è uno spettacolo noir, né una denuncia della scuola o semplicemente la riduzione di un libro; se mai è una riflessione sul bisogno urgente di guardarsi negli occhi, specie tra docenti e studenti, per riflettere sulla cura della coscienza del cittadino. Il nostro sguardo è rivolto al passato come un prisma, una lente deformante con cui osserviamo il mondo di oggi, scoprendo distanze e assonanze”.
Lo spettacolo si apre fra tre file di banchi da cui gli studenti un po’ alla volta si lasciano cadere, forse morire, in mezzo a libri rotti e fradici e al professore di filosofia che vediamo di spalle. È la storia di due filosofi gemelli maledetti a distanza di 2417 anni tra loro: “Da una parte il filosofo accusato di aver corrotto la gioventù, dall’altra l’allievo che risparmia l’altro filosofo oggi: ma la sopravvivenza è condanna, l’interrogativo diventa una sentenza che chiama in causa tutta la storia del pensiero occidentale. Per Scurati nel libro il punto è il massacro, per noi è solo l’approdo doloroso ma aperto ed infatti , per raccontare, Socrate usiamo un video che ogni sera doppiamo con la nostra voce in diretta”.
Ogni docente si chiede, dice Derai, cosa non si è fatto, cosa non si è detto, cosa non si è abbastanza trasmesso, perché questo disastro: “Da qui un percorso a ritroso fino al maggio del 399 nella cella della prigione di Atene dove Socrate berrà il veleno, così tornando ai dialoghi di Platone, Alcibiade I e II, in cui il filosofo maieutico usa la sua arte dialogando con il suo allievo prediletto, ricco e bel rampollo della miglior democrazia che trascinerà poi Atene verso la guerra e la rovina imperialista”.
Il tema è: come si passano il sapere, la conoscenza, la memoria? Una classe scolastica, dicono gli Anagoor, è un mondo non uniforme e il professore è solo, “in lotta coi giganti”. Gli Anagoor sono esperti del mondo giovanile, hanno movimento di ascolto di giovani, da sempre lavorano nelle scuole e alcuni ragazzi in scena sono studenti. “Ci aiutiamo così ad allenarci sempre al riconoscimento dell’altro, unico strumento del convivere. La perdita della memoria in un paese come il nostro sembra quasi una necessità perché il bagaglio culturale è immenso e rischia d’essere un corpo inerte senza una vitale. Io sto dalla parte del suggerimento di Platone ripreso da un’altra grande filosofa contemporanea, Hanna Arendt, cioè la ginnastica dello sguardo: non c’è città che non si fondi sulla cura della relazione con l’altro”.
Guardarsi negli occhi per sopravvivere o, nella seconda parte dello spettacolo, guardare i video: così il passato si spalanca e diventa una grande proiezione e “si avvera la metafora della caverna platonica come prima idea di cinema”. Metafora applicata. Quali sono i comandamenti del vostro gruppo, il segreto del successo? “Parlare per flusso di pensiero, seguire l’indagine etica, filosofica ed anche sentimentale. Il cuore è un pensiero che viene da una voce solista, ma nello stesso tempo la storia prosegue e ci insegue. Abbiamo inserito nel titolo “come le foglie” come riferimento ai cicli generazionali, un classico biologico: se possiamo partiamo sempre dall’Iliade che non è mai stata smentita”.
Fotografie di Giulio Favotto