Rilettura di Lorenzo Loris delle famose quattro giovanili notti bianche di Dostoevskji con Massimo Loreto invecchiato protagonista
Romanzo giovanile, legato all’influsso romantico dell’epoca, da cui Dostoevskij già qui inizia a prendere le distanze, Le notti bianche racconta il divario tra realtà e sogno, la solitudine, l’illusione di un amore. L’intera vicenda è ambientata in un’atmosfera onirica, in quel periodo dell’anno in cui in Russia l’oscurità non cala mai completamente e la notte si tinge di uno chiarore irreale. È in quella dimensione che si incontrano due solitudini.
Ogni notte, per quattro notti, fino all’ultimo risveglio, che per il sognatore avrà tinte cupe. Due anime sole, dunque. Lui immerso nel proprio mondo fatto di un perenne rifugiarsi nella fantasticheria, esiliato da una realtà sofferta come insoddisfacente, ma afflitto al contempo della lacerante consapevolezza che soltanto quella realtà può donare la vera felicità. Lei, Nasten’ka, cresciuta al fianco di una nonna severa che, afflitta da cecità, ha deciso di legare la nipote a sé con una spilla da balia per tenerla sotto controllo, lasciandole così come unica via di fuga l’immaginazione. Ma d’improvviso una speranza: l’arrivo di un giovane affittuario cui Nasten’ka affida tutto il suo desiderio di fuga tramutandolo in amore. Costretto ad allontanarsi per migliorare la propria condizione economica e sposare così la ragazza, il giovane le dà appuntamento a un anno di distanza proprio lì, dove il sognatore la trova la prima volta.
Due sognatori che s’incontrano e che, in quelle strane notti, vivono l’attesa di qualcosa. Lei attende il suo amato e spera nel suo ritorno, lui attende e spera in un futuro diverso, spera di riconciliarsi con la realtà attraverso l’amore. Ma sarà solo un’illusione e finirà per rannicchiarsi nuovamente nel suo sottosuolo, più confortevole di quello che sarà nei romanzi futuri di Dostoevskij, ma non meno amaro.
Nello spettacolo di Lorenzo Loris la dimensione del sogno e dell’anelito all’amore sembra affidata solo alle tinte colorate di cui è macchiata la scenografia e al mondo dei quadri di Chagall e Kandinskij, cui quelle rimandano, proiettati sul fondale in modo fluido e delicato. La scelta di far interpretare il sognatore da un uomo di sessantacinque anni e Nasten’ka da una ragazza di ventisei è originale, coraggiosa e interessante, un’ottima idea che tuttavia sembra restare bloccata nei suoi potenziali sviluppi.
Un uomo avanti con gli anni ancora aggrappato a un bagliore di felicità, a quell’unico attimo di beatitudine che gli è stato concesso, ormai ineluttabilmente sprofondato nella sua incapacità o impossibilità di vivere nel mondo reale, mette infatti senz’altro in luce tutta la drammaticità di quella figura. Se impiegati fino in fondo, il filone della memoria e l’età scelta per il protagonista potevano esasperarne la solitudine, restituendoci tutta la potenza della sua fragilità e della sua disperazione. La stessa contrapposta freschezza di Camilla Pistorello non pare lasciata libera di esprimersi nel giocoso miscuglio di spontaneità e ingenua civetteria che – seppur sempre “in attesa” – appartiene alla Nasten’ka del racconto.
Benché si conoscano le doti attorali di Massimo Loreto e si intravedano quelle della sua compagna di scena (neodiplomata all’Accademia dei Filodrammatici), i due viaggiano costretti su binari paralleli che non si incontrano, senza sviluppare alcuna reale interazione. Resta sì l’impressione di due solitudini incapaci di costruire un reale rapporto, ma sembra mancare quella tensione che pur si avverte nell’opera dostoevskijana.
(foto di Agneza Dorkin, per il video si ringrazia Teatro Out Off)
Le notti bianche, di Fedor Dostoevskij, al Teatro OutOff fino al 14 febbraio