“A Seat at the Table” è un piccolo gioiello, una conversazione corale sul significato di essere neri in questo periodo storico
Solange Knowles è l’emblema dell’artista poliedrica. La sua carriera è cominciata da giovanissima e i suoi talenti includono canto, ballo, recitazione, e ovviamente scrittura, per sé e svariati artisti inclusa la sorella Beyoncè. Il suo terzo album A Seat at the Table, uscito questo ottobre con la collaborazione di artisti fra i quali Lil Wayne, Kelly Rowland e Q-Tip, è un magnifico nuovo pezzo di storia della musica black, un disco la cui elegante complessità ne dimostra la lunga lavorazione.
A Seat at the Table si snoda tra pezzi musicali e interludi parlati, il cui effetto è come una continua conversazione corale sul significato dell’essere neri in questo momento storico. Incorporando spezzoni di interviste ai suoi genitori, Tania e Mathew, l’effetto dell’opera è un cercare e analizzare le proprie radici culturali, musicali e civili. Un personalissimo ed elegantissimo contributo ad un tema di assoluta contemporaneità: in un anno che ha visto la nascita del movimento Black Lives Matter in risposta a un numero senza precedenti di ragazzi afroamericani uccisi dalla polizia , il disco si propone di dar risalto alla bellezza della comunità nera, e di celebrarne la resilienza. Il titolo stesso, con la sua voglia di una proverbiale sedia al tavolo da pranzo, suggerisce un desiderio d’inclusione e di rispetto, di far sentire la propria voce e di sapere che questa è ascoltata e capita.
Rise celebra l’imperfezione e la caduta come segni d’identità personale. La voce delicatissima di Solange guida l’arrangiamento tra r’n’b e musica classica, con influenze dubstep e jazz alla New Orleans in sottofondo. Un’impronta stilistica complessa ma gestita in maniera magistrale, che risulta naturalissima e che continua a evolversi per tutto il disco. Weary continua su questo tenore, con una ritmica che oscilla tra Erykah Badu e James Blake, mentre Solange si interroga sui sistemi di privilegio che esistono nella nostra società, e come questi ti fanno dubitare del tuo posto nel mondo.
Cranes in the Sky guarda in alto per capire i propri meccanismi di difesa, e le distrazioni con cui si cerca di dimenticare il sentimento di oppressione, con un altro arrangiamento elegantissimo dove la voce di Solange va in punta di piedi su un piano semplice e deciso, e una batteria ipnotica.
Mad, con la partecipazione di Lil Wayne, gioca sul bellissimo intrecciarsi dei loro stili, l’aulica dolcezza del canto di Solange e la potente profondità del rap di Wayne, per parlare del diritto ad arrabbiarsi per le ingiustizie del mondo. L’interludio Tina Taught Me, una lucidissima spiegazione nella voce della madre del perché la celebrazione della cultura nera non deve essere percepita come un’azione anti-bianca ma come orgoglio verso la propria cultura e resilienza, introduce Don’t Touch My Hair, che usa i capelli di Solange come simbolo della sua eredità culturale e di ciò che è suo, e che nessuno si può permettere di mettere in discussione.
Forse la canzone che riassume meglio il filo conduttore del disco è F.U.B.U., connessa all’interludio For Us By Us: tra la voce del padre e il suo cantato, Solange scrive un inno all’auto-rappresentazione, ovvero all’importanza di scrivere di se stessi e di celebrarsi, di parlare di una realtà che troppo spesso è stata messa in silenzio e descritta da pregiudizi. Il divino armonizzare assieme a Kelly Rowland e Nia Andrews su I Got so Much Magic, You Can Have It introduce il finale del disco, che tende a elevarsi, sia spiritualmente che musicalmente: Scales è uno dei momenti di narrazione più riuscita dell’album, in cui Solange dipinge una scena infusa di droga e poesia urbana su una base astratta tra basso e pianoforte, che regalano un momento di totale raccoglimento emotivo.
A Seat at the Table è un piccolo gioiello, che affronta un tema complesso, personale e spesso doloroso con generosità artistica e apertura emotiva. Tra il jazz, il pop, e l’r’n’b, Solange crea un’opera dal fortissimo valore culturale e musicale, con la maestria di un’artista che ha raggiunto la maturità e che sa mettere a frutto la complessità dei propri talenti.
Solange, A Seat at the Table (Saint / Columbia)