Proseguono stasera alla Fabbrica del Vapore le “lezioni di musica d’oggi” di Alessandro Solbiati. Questa volta ad essere analizzati dal compositore ed eseguiti dai solisti di Divertimento Ensemble (Beatrice Binda, soprano, Lorenzo Gorli, violino) saranno i celebri “Kafka Fragmente” di György Kurtág. Intervista
Alessandro Solbiati porta alla Fabbrica del Vapore (sala Donatoni) in dimensione live le “Lezioni di musica”, un format già sperimentato con il mezzo radiofonico su Rai Radio3. Le lezioni nel nostro caso si svolgono nell’ambito del festival Rondò di Divertimento Ensemble e si soffermano sulla musica del nostro tempo, attraverso l’analisi (e l’esecuzione) di cinque pezzi di straordinaria forza ed efficacia: Cold and calm and moving di Beat Furrer (affrontato il 14 febbraio), Kafka Fragmente di György Kurtág (questa sera), Greeting music di Claude Vivier (il 27/3), Rima di Franco Donatoni (il 3/4), Pocket Zarzuela di Luis de Pablo (il 24/4).
Alessandro Solbiati (foto @ Giovanni Daniotti)
Parlare con Alessandro Solbiati (classe 1956) significa addentrarsi nella mente di uno dei compositori più interessanti della sua generazioni e probabile maestro di molti musicisti del futuro.
Come è nato il Progetto delle “lezioni di musica d’oggi” con Divertimento Ensemble?
Da circa 11 anni collaboro a “Lezioni di musica”, un programma di Rai Radio3 nato nel 2011. Io ho iniziato a partecipare due anni più tardi. Credo di aver realizzato finora circa 170 lezioni. Il format è molto congeniale al suo obiettivo: 28 minuti in cui si presenta un brano musicale. Grazie a quest’esperienza mi sono scoperto anche divulgatore, qualcosa che non faceva parte del mio mestiere. Sandro Gorli, carissimo amico e maestro – tra noi vi è una sintonia quasi automatica -, mi ha proposto di portare le lezioni (di musica contemporanea) in una dimensione live, da collegare alle composizioni in stagione. All’inizio si pensò di tenerle in momenti e luoghi distinti dai concerti, però poi si scelse di collegare lezione ed esecuzione in un’unica serata. Per me è un’occasione per approfondire i lavori in programma. Alcuni li conoscevo molto bene – come, per esempio, i Kafka Fragmente di György Kurtág, a cui ho già dedicato due lezioni radiofoniche, o Rima di Franco Donatoni – altri come Cold and calm and moving di Beat Furrer non li conoscevo affatto. Per me queste sono occasioni di approfondimento. A volte serve l’occasione giusta per conoscere cose nuove, altrimenti si invecchia prima del tempo.
L’aspetto più interessante di quest’esperienza è di poter dialogare con i musicisti, che aiuta ad affrontare in concreto ciò di cui si parla.
Mi sono reso conto dell’importanza di questo dialogo preparando la prima lezione dedicata a Beat Furrer, un pezzo il suo diviso in sezioni. Inizialmente, avevo concordato quali sezioni avrei chiesto ai musicisti, ma poi mi sono reso conto dell’importanza della loro presenza, che poteva essere utile a comprendere anche le concatenazioni di segmenti e l’utilizzo delle cellule. Questo cambia tutto. In alternativa, bisognerebbe esemplificare al pianoforte ma non è la stessa cosa. Questa formula dovrebbe essere utilizzata spesso, in particolare nella musica contemporanea.
La musica contemporanea è più difficile da raccontare?
Dipende dai casi. Faccio un esempio: su Rai Radio3 avevo dedicato due puntate delle lezioni a Pierre Boulez, analizzando un pezzo degli anni ’50 (Le Marteau sans maître) e uno degli anni ’80 (Dérive). Raccontare Dérive risulta più semplice, non perché sia un pezzo breve ma per la sua caratteristica narrativa. Le Marteau sans maître, concepito negli anni ’50, in pieno strutturalismo, è molto più complesso semplicemente perché quella musica non era nata per essere raccontata.
Come sono stati scelti gli autori protagonisti delle “lezioni”?
Sono stati scelti da Sandro Gorli. Tra Sandro e me c’è un automatismo, nato dal fatto che abbiamo entrambi studiato con lo stesso maestro, Franco Donatoni, e poi io ho studiato con lui. Per me Sandro è un fratello maggiore. Ci guardiamo e pensiamo le stesse cose e, infatti, le sue cinque proposte hanno incontrato il mio più vivo interesse. I pezzi li ha scelti Gorli, ma pensando a me. Molti di questi compositori li ho conosciuti personalmente molto bene: Franco Donatoni è stato mio maestro, Luis de Pablo è stato un grande amico, ho avuto l’onore di conoscere Kurtág, non ho potuto conoscere Claude Vivier, ma mi affascina molto per il suo destino di giovane compositore morto tragicamente a 25 anni (nel 1983 ndr).
György Kurtág
Tra gli autori in programma e la sua attività di compositore ci sono elementi di connessione?
Franco Donatoni è stato per me un padre. Musicalmente sono sempre stato felice di ritenerlo mio maestro, ma il più grande complimento rimane che la mia musica non assomiglia alla sua. Sia da Donatoni che da Kurtág accolgo l’atteggiamento nel comporre, quasi religioso. Una specie di monaco che lavora nel suo studio. Quando ho incontrato il novantaduenne Kurtág a Budapest nel 2018, prima del debutto alla Scala di Fin de partie, alla mia domanda “maestro, da quanto tempo lavora a quest’opera?”, lui rispose “ci lavoro dal ’57 quando ho visto Fin de partie di Beckett per la prima volta”. Parlando dell’opera mi ha detto anche un’altra cosa che mi ha colpito: “sì, questa è una buona prima versione, ma ci sono ancora tante cose da fare”. Tutto ciò è meraviglioso. Un altro aspetto che mi ha sempre colpito di Kurtag è la sua asciuttezza, l’assoluta necessità di ogni nota, la spregiudicatezza e la consapevolezza di avere il senso della storia dentro di sé e al contempo la sua libertà di muoversi dentro materiali assolutamente eterogenei, con profondità e innocenza insieme. Luis de Pablo è anch’egli una delle personalità che ho ammirato di più per la sua cultura sconfinata, serena e profonda. Ricordo ancora di quella volta in cui mi citò Carlo Porta in dialetto milanese.
Mi ha colpito quanto diceva prima di Franco Donatoni. È il grande maestro che insegna ad essere libero. Come Gian Francesco Malipiero, maestro di Luigi Nono e Bruno Maderna, grandi musicisti molto diversi l’uno dall’altro.
Per insegnare bene è fondamentale proporre un mondo di tecniche, spiegando da dove arrivano, proporre senza paura una visione del mondo, ma simultaneamente pregare il giovane di andare a conoscere altri mondi e di non aver paura di esprimere le proprie idee. Saper accettare l’altro per quello che è, coglierne le necessità e, magari, imparare da chi abbiamo di fronte. Metà delle cose che so le ho imparate dai miei studenti.
In copertina Beatrice Binda e Lorenzo Gorli (foto @ Giovanni Daniotti)