Lucia Calamaro racconta il dramma della solitudine sociale e mostra la difficoltà dello stare con gli altri, nei legami familiari e con se stessi
Si nota all’imbrunire, scritto e diretto da Lucia Calamaro e in scena al Piccolo, è la storia di Silvio (Silvio Orlando), un padre di famiglia che una volta giunta l’età della pensione decide di ritirarsi da solo nella casa di campagna, lontano dai figli ormai grandi e dal turbinio della vita di città. Il giorno del suo compleanno, che coincide con la ricorrenza della morte della moglie, i figli e il fratello colgono l’occasione per andare a trovarlo e ritrovarsi dopo quasi tre anni.
Silvio è un uomo solo, piegato su se stesso, la cui unica attività è quella di dedicarsi ai propri pensieri, che formula in un piacevole stato di tranquillità. Antepone il piacere del silenzio al confronto, e rifugge gli sguardi, le relazioni, i conflitti, per cullarsi nella realtà placida, ma distorta, della sua psiche.
La sua solitudine lo ha posto infatti in uno stato di “sedentarietà” che è divenuto anche una condizione mentale, Silvio non vuole più “alzarsi”, non ha iniziativa, fiducia o speranza negli altri.
L’arrivo dei suoi parenti lo obbliga a ricostruire quelle relazioni familiari, intrise di pregi e difetti, con cui si è sempre misurato. Il figlio quasi medico (Riccardo Goretti), da lui considerato un fallito e momentaneamente disoccupato, è deciso ad arricchirsi grazie al mondo dell’economia.
La figlia psichiatra (Alice Redini), pur dedicandosi con impegno ai suoi pazienti, è preda di un comportamento ossessivo e crea delle “liste” ordinate pur di evitare le sue paure. La figlia poetessa (Maria Laura Rondanini), con cui intrattiene un rapporto preferenziale, è ingenuamente convinta di poter coronare il suo sogno artistico, in una modernità ormai indifferente alle parole e alle metafore.
Ciascuno con i propri personalissimi rapporti con il padre, lo pungolano a loro modo per riacquistare quella vitalità da cui sembra essersi ormai allontanato. Lo stesso fa il fratello, lo spinge a “rialzarsi”, con complicità e una leggera remissività. Si scoprono i rapporti tra fratelli, che una volta autonomi e cresciuti diventano ormai sconosciuti l’un l’altro, a causa della differenza delle rispettive vite.
C’è un sottofondo, nello spettacolo della Calamaro, che indaga i rapporti familiari tra padri e figli che si perdono e si ritrovano, ricreando le stesse dinamiche con cui i personaggi si erano lasciati, ma in modo più consapevole e realista. Il bellissimo testo della regista de L’origine del mondo racconta con intelligenza non solo le intime e quotidiane dinamiche parentali, ma il più generale tema del rapporto con l’altro e della solitudine quale male oscuro ed insidioso, che crea stagnazione e chiusura.
Lo spazio vuoto di Silvio è infatti lo spazio vuoto di quella parte di noi che si ritrae nella solitudine dei propri desideri, che non si confronta con l’Altro, con gli altri, i quali se da una parte sono sempre un po’ difficili da gestire, à-la-Sartre, dall’altra parte permettono di mettere in discussione le proprie credenze negative e di uscire dal proprio Io, ridandoci vitalità.
È lo spazio vuoto dei pensieri confusi, che non vengono obiettati, e ritornano ciclicamente a darsi conferma in una realtà limitata ed alterata. Ma il contraddittorio e la discussione, ci mostra Silvio, se presi seriamente, permettono di prendere coscienza delle proprie mancanze, lutti e perdite e ripartire.
Il linguaggio tragicomico ed empatico di Lucia Calamaro, la bravura degli attori e il ritmo sostenuto, rendono Si nota all’imbrunire capace di incuriosire lo spettatore e di educarlo ad un lessico ricco ed articolato di pensieri e sensazioni umane. Il tutto in grado di far maturare uno sguardo nuovo sulla quotidianità e sulle relazioni più profonde che abbiamo con noi stessi – e nella società.