Ron Howard racconta la giovinezza del mitico contrabbandiere che guida il Millennium Falcon, l’astronave della saga “Guerre Stellari”: è il secondo film, targato Disney, della serie “Star Wars Anthology”, sceneggiato da Lawrence Kasdan e con un cast in gran parte inedito guidato da Alden Ehrenreich e Woody Harrelson
Pochi film riescono oggi a generare un contrasto così netto di attesa spasmodica e terrore per il risultato come i nuovi Star Wars a marchio Disney, perennemente contesi tra il lato luminoso di personaggi e trame senza tempo, e la lenta ma inesorabile marcia (imperiale?) verso il prodotto per tutti, non solo per nerd di vecchia data depositari a tutti i costi dell’ultima parola.
Il nuovo Solo: A Star Wars Story non fa eccezione, anzi ci casca come prima e più di prima: sì, perché tra luce e lato oscuro, questa volta, c’è di mezzo Ron Howard, professionista del trasformismo hollywoodiano, capace di passare in carriera, con assoluta nonchalance, dalla favolona fantasy (Willow) alla fantascienza over 70 (Cocoon – L’Energia dell’Universo), dalla storia di Niki Lauda o John Nash (Rush, A Beautiful Mind) a quella di Moby Dick (Heart of the Sea – Le Origini di Moby Dick). Senza colpo ferire. Tra i candidati a dirigere il nuovo Spin-Off con effetto retroattivo dell’epopea Star Wars è parso da subito quello con il curriculum più disneyano, con il suo faccione da eterno Richie Cunningham e una cinematografia fatta di buonismo e blockbuster per grandi e piccini.
Terrore più che giustificato, dunque, considerando che il personaggio di Han Solo è da sempre, per certi aspetti, l’eroe meno “classico” di tutta la saga: contrabbandiere dal cuore d’oro, in apparenza cinico e arrivista, capace di fare a piacimento dentro e fuori dalla resistenza, e rispondere a un “ti amo” con un sorrisetto e un “lo so”. E invece, sorpresa delle sorprese, l’esordio di Howard e soci al timone del Millenium Falcon non ha quasi nulla da invidiare all’operazione nostalgia cominciata con l’ottimo Rogue One: ha atmosfere da western, ritmi da fantascienza fatta bene, un umorismo per famiglie intelligente quanto basta (senz’altro più delle orride gag di The Last Jedi), e almeno un colpo di scena che costringerà i fans over 30 della saga a raccogliere la mascella dal pavimento della sala a fine proiezione.
Certo, i toni, rispetto al precedente prequel/spin-off sulla nascita della Morte Nera sono un po’ più edulcorati e perlomeno, per ovvi motivi, questa volta non muoiono proprio tutti i protagonisti. Ma lo spirito di recupero e ampliamento della “galassia lontana lontana” raccontata da George Lucas e Lawrence Kasdan, sceneggiatore di Solo e di buona parte dei capitoli della vecchia e nuova trilogia, resta il medesimo. Niente spade laser dunque, e largo a vecchie astronavi, deserti infiniti, bar polverosi, metropoli steampunk, battute vecchie ma buone e facce nuove che calzano a pennello.
Come quella di Alden Ehrenreich, diversamente belloccio rispetto al primo Harrison Ford, ma con la stessa faccia da schiaffi. D’altra parte, di facce da schiaffi è pieno l’immenso saloon che è l’universo in versione Han Solo, dalla garanzia Woody Harrelson negli inediti panni del mentore al rapper e attore Donald Glover/Childish Gambino in quelli, elegantissimi, del giovane seduttore Lando Calrissian. Ovviamente non mancano il droide simpatico di turno, stavolta con marcato spirito rivoluzionario, e soprattutto l’iconico ed eterno Chewbecca che qui, per la prima volta, si lega in eterna amicizia al furfante più famoso dell’universo. A completare la squadra, il sempre convincente Paul Bettany (questa volta nella parte del cattivo) e nientemeno che Emilia Clarke, già tra le protagoniste assolute di Game of Thrones ma decisamente meno caratterizzata e incisiva come improbabile boss criminale, con la sua faccia da bambolina, per quanto praticamente unica donna nel cast.
D’altro canto, poco importa: con buona pace dei fedeli più ortodossi a cui questo o quel nuovo interprete potranno far storcere il naso, una volta chiuso un occhio sull’inevitabile operazione di svecchiamento quel che resta è un film assolutamente godibile. Tutt’altro che monumentale, forse, ma ben scritto, con ottime scene d’azione e, soprattutto, capace di aggiungere l’ennesima spettacolare tappa (affascina come sempre la cura di ambientazioni vecchie e nuove) a un viaggio cominciato “a long, long time ago”, e che pare per davvero non invecchiare mai.