In Sorelle di Rambert il conflitto tra Anna Della Rosa e Sara Bertelà prevede ogni tanto un intreccio tra le due voci, con due bravi interpreti; ma manca qualcosa
Foto: © Luca Del Pia
Non sono tre ma due le Sorelle di cui Pascal Rambert descrive il serratissimo duello, per nulla cechoviano, in uno dei suoi ultimi lavori andato in scena alla Triennale di Milano per la rassegna FOG. Questo oratorio a due voci, con più grida che sussurri, interrompe la solita struttura cui ci aveva abituato il drammaturgo francese negli assai noti e giustamente celebrati Clôture de l’amour e Prova, in cui la giustapposizione di verbosissimi monologhi lasciava intendere l’incomunicabilità tra i personaggi, come conseguenza formale e sostanziale dell’impostazione del testo.
In Sorelle invece il combattimento fino all’ultimo respiro tra Anna Della Rosa e Sara Bertelà, bravissime, prevede ogni tanto un intreccio tra le due voci, come se nell’alluvione solipsistica delle ragioni di ciascuna potesse esserci ogni tanto una tregua. Tregua che assume la forma di dialogo, brevissimi esperimenti di vasi comunicanti che, se non portano a un accordo tra le parti, almeno lasciano intendere che tra i due personaggi esiste un legame più profondo e ancestrale.
Nel testo le ragioni delle sorelle vanno subito alla deriva nel loro passato fatto di rivalità e incomprensioni, di gelosie e offese, di piccole e grandi violenze psicologiche. Ogni famiglia infelice lo è a modo suo. Sara, la maggiore, è una donna algida con la tendenza a rinchiudere i suoi affetti in prigioni psicologiche, ma ha a cuore il destino di senzatetto e migranti, e cerca di aiutarli nei fatti. Anna invece vive nel mondo delle opinioni. Anche lei si occupa degli emarginati, ma a distanza: fa la giornalista e vive con la valigia in mano. Lo scontro ha precise motivazioni che emergeranno solo verso la fine dello spettacolo; nel frattempo, nel non luogo dell’azione, una sala conferenze dove non arriverà nessuno, vengono disposte (e opportunamente distanziate) sedie colorate per un pubblico assente.
Quel che Rambert continua a far ripetere programmaticamente alle due donne è che “chi vuole ampliare il mondo deve ampliare il linguaggio”. Ma stavolta qualcosa non funziona nella sua coreografia verbale: tutti gli echi che arrivano di Beckett e Koltès mancano di metafisica. In più non c’è bilanciamento tra rabbia e commozione, e persino i passaggi più crudi risultano a volte un po’ affettati, se non ridondanti. Alla fine la storia di queste due sorelle non parla davvero né alla mente né al cuore, e non perché le due attrici non la dominino. Anzi, è solo per merito loro che lo spettacolo si segue per tutti i suoi novanta minuti. Anna Della Rosa si tiene sempre un passo in avanti, mostrando una sofferenza esplosiva, al contrario Sara Bertelà è più trattenuta e impenetrabile: insieme riescono a spostare continuamente il baricentro del loro confronto, compensando la mancanza di intensità del testo.