Dal film di Risi, Guglielmo Ferro – supportato dall’adattamento di Micaela Miano – trasferisce sul palco l’amara storia di Bruno e Roberto, a bordo di una Lancia Aurelia. Operazione rischiosa, ma funziona
Buonanotte all’Italia del cambiamento, del boom, della pre-liberazione sessuale.
È questo l’universo evocato da un capolavoro assoluto del nostro cinema come Il sorpasso di Dino Risi, un canto amorale su una società in trasformazione, un’amara riflessione su due caratteri agli opposti, macinati tuttavia entrambi dalla medesima solitudine.
Tanto si è detto sul carisma dolente di Vittorio Gassman – Bruno Cortona, emblema mai edificante di cialtronerie e piccolezze, colui che promette gaudio e invece genera morte. Molto si è detto altresì di Jean Louis Trintignant – Roberto, il candore, la timidezza, il fuoco represso, la vittima paradigmatica di una furia di nome Bruno che ha dalla sua una proverbiale pochezza, una mediocrità asfissiante contro cui i boom possono poco – e che ci siamo trascinati dietro fino a oggi.
Le urgenze estetiche e antropologiche del film di Risi ritornano oggi in forma teatrale: Guglielmo Ferro dirige infatti la riduzione scenica tratta dall’opera sceneggiata da Risi, Ettore Scola e Ruggero Maccari, affidandosi all’adattamento di Micaela Miano.
Si potrebbe pensare, con superficialità, che basta poco ad acciuffare un meccanismo perfetto e plasmarlo per il teatro. Non è (sempre) così, non lo è in questo caso, davanti a un totem come Il sorpasso. L’operazione è complessa, gioca con il ricordo del pubblico, sfida un titolo che non è soltanto “un titolo”: è pensiero, elaborazione, memoria storica. È per questo che l’operazione di Ferro e soprattutto della Miano andrebbe quanto meno sostenuta.
Perché al di là di ogni considerazione, se siamo abituati a testi scenici che diventano film (ne è pieno il mondo), siamo molto meno allenati all’evento inverso. In questo caso, sebbene non si senta la necessità di vedere Il sorpasso anche a teatro, c’è da ammettere che il risultato finale, al netto di ogni sorpresa, è piacevole.
Ferro apre le danze nella spoglia stanza di Roberto, qui interpretato da Luca di Giovanni. L’impeccabile dizione dell’attore, nei primi momenti dello spettacolo, risulta quasi insopportabile: man mano che il lavoro procede, tuttavia, questa presunta asetticità si rivela particolarmente azzeccata. Roberto è la purezza, l’astrazione un po’ anonima, il dubbio incolore: caratterizzarlo con una cadenza precisa avrebbe verticalizzato il personaggio in un vortice forse inutile (e peraltro per ovvi motivi lo stesso Trintignant venne doppiato, nel film di Risi, da Paolo Ferrari: altri tempi).
Quando Bruno – Giuseppe Zeno gli stravolge la vita, per lui cambia tutto. A bordo di una Lancia Aurelia (il clacson resta sempre quello…) i due – o meglio, Bruno – sfrecciano alla ricerca di qualcosa. Di una nuova vita, di un senso, di un’altra ricerca ancora. Chi lo sa. Seppur diversi, sono due anime farcite dalla medesima inadeguatezza, nel film come nella riduzione teatrale: non era semplice condividere nuovamente questa ispirazione, che in mani meno solide avrebbe portato i due a diventare macchiette prevedibili e noiose.
Il bravo Zeno, in particolare modo, non può non ricordare Gassman: ma l’aderenza, in questo caso, non è mai mera imitazione. È re-interpretazione, nuova analisi, rimescolamento. Attorno a loro scorre una galleria infinita, sfaccettata e su più livelli di italiani maledetti tanto quanto i due protagonisti: zii, contadini omosessuali, osti e cameriere. Sono l’altra faccia del boom, quella irrisolta, che si nasconde dietro i bilanci dei fatturati, dietro la réclame d’assalto e i sorrisi facili di chi ha battuto la miseria.
È chiaro: questo nuovo Sorpasso non porta nulla di nuovo sotto il sole. Ma riesce, se possibile, in una “impresa” ancora più complessa: rendere ancora nitide le esigenze, i peccati e l’odore di morte di allora. Perché in fondo a fare un sorpasso siamo bravi tutti. È quando provi a rientrare in carreggiata che si capisce se sopravvivi.
Foto in copertina di proprietà di Quirino Teatro