Una figlia, un padre ritrovato, un viaggio nella magia dei monti Sibillini. “Se chiudo gli occhi”, la fiaba contemporanea di Simona Sparaco, sconsigliata ai maschi, che ci fa tornare bambine
Il nome di Simona Sparaco è saltato all’onore delle cronache letterarie lo scorso anno quando il suo romanzo Nessuno sa di noi entrò nella cinquina del Premio Strega. Non vinse, ma questo non placò le polemiche della critica secondo cui il romanzo della Sparaco semplicemente «non doveva stare allo Strega». C’è chi lo definì «quasi letteratura», chi parlò della copertina da chik lit e chi si scagliò contro la scuola Holden – di cui l’autrice è stata allieva – che sforna autori di astuta abilità nel costruire una narrazione, ma privi di spessore.
E’ con questo stato d’animo che mi sono avvicinata alla lettura del nuovo romanzo della Sparaco, Se chiudo gli occhi: la storia una figlia e di un padre ritrovato sullo scenario dei monti Sibillini nelle Marche.
Leggo, mi commuovo, mi irrito: l’amore è sempre «grande» e «carico di promesse», l’artista è ovviamente bohémienne, il padre è assente (ma giustificato come si scoprirà), la figlia ribelle, e le donne poi, Eva contro Eva, una ammaliatrice e l’altra pura. Non ci sono sfumature, tutto è esplicito, scontato. Eppure mi commuovo.
Di padri, di figlie e di relazioni edipiche la letteratura offre storie ben più tragiche del rapporto tra Oliviero e Viola raccontato dalla Sparaco: da Lear, a Papà Goriot, a Sonia di Delitto e Castigo è tutto un amore che nasconde un legame complesso, doloroso. Anche le fiabe, quelle narrazioni di cui noi bambine ci nutriamo per crescere, sono piene di padri e di figlie: padri buoni e amorevoli che non si sa perché sposano tutti matrigne cattive, a cui spetta l’ingrato compito di traghettare (con abbandoni, maltrattamenti, allontanamenti) la malcapitata dall’infanzia all’età adulta.
Non so se Simona Sparaco ami le fiabe, se le abbia lette, se da piccola gliele abbiano raccontate. Il fatto è che il suo libro sembra proprio una fiaba contemporanea. In mano a Propp la si può scomporre come Biancaneve o Pollicino: c’è un’iniziale situazione di quiete (la protagonista lavora in un centro commerciale, a casa ha un marito e una figlia), interrotta da un elemento di conflitto (l’arrivo inaspettato del padre dopo quattro anni di silenzio); c’è un divieto (il marito la minaccia di non seguire il padre riapparso dal nulla) e la disobbedienza (lei che decide di accompagnarlo in un viaggio alla ricerca del suo passato in un borgo delle Marche). Quindi la partenza, con tanto di elementi magici e “sibille” marchigiane. Seguono conflitti, svelamenti, falsi eroi, per finire con il classico «e vissero tutti felici e contenti».
Sarà per questo archetipo che la Sparaco commuove, sarà perché gioca con quanto c’è di più semplice e rassicurante, forse anche scontato, ma insomma ogni tanto ci si può concedere il piacere di tornare bambine (la lettura è vivamente sconsigliata ai maschi).
“Se chiudo gli occhi” di Simona Sparaco (Giunti, pp. 272, 16 euro)