Un nuovo, 21enne protagonista, un regista (Jon Watts) quasi esordiente, e un bel pacchetto di comprimari in forma, da Michael Keaton a Marisa Tomei all’immancabile Robert Downey Jr., rilanciano le avventure dell’uomo ragno. In un film che usa con misura e intelligenza gli effetti speciali come i dialoghi, mescolando un’ironia da college e la suspense delle saghe di supereroi
Ammettiamolo: era bastata una mezz’ora scarsa di adolescenza, Queens, battute e ragnatele, nell’ultimo Captain America: Civil War, per centrare in pieno il punto G di qualunque fanatico Marvel di vecchia data. Da lì, l’attesa per il nuovo Spider-Man: Homecoming si era fatta via via sempre più febbrile, pronta a dar sfogo a una fedeltà e un affetto che i vari Hulk, Thor, Capitan America e persino l’Iron Man di Robert Downey Jr. non si sognano nemmeno. Innanzitutto perché Spider-Man non è semplicemente un personaggio Marvel: Spider Man è IL personaggio Marvel, quell’archetipo del supereroe con superproblemi che ha fin da subito fatto la fortuna del marchio di comics fondato da Stan Lee e soci rispetto al più classico catalogo DC, fatto di eroi a prova di proiettile, con mantello e poteri senza controindicazioni.
Ma, soprattutto, con il giovane Tom Holland, ventuno anni, un passato da ballerino e una faccia da eterno adolescente, l’universo dei cinefumetti sembra finalmente aver guadagnato un Peter Parker/ Spider-man più che credibile, e visti i precedenti non era affatto facile. Già, perché il primo, efficacissimo tentativo di rispolverare le gesta cinematografiche dell’Allegro Arrampicamuri di Quartiere, da parte di un geniaccio di lunga data come Sam Raimi, aveva tra i suoi (pochi) difetti proprio il faccione piagnucoloso di un caricaturale Tobey Maguire.
Al contrario, il quasi esordiente Jon Watts ha invece la fortuna di dirigere la versione in carne e ossa del Peter formato Ultimate Universe, ovvero il reboot dell’universo Marvel su carta, prima che su pellicola, intrapreso dal 2000 in poi proprio nel tentativo di “svecchiare” una linea editoriale divenuta ormai grottesca e fin troppo ingarbugliata. Ed è proprio alla versione Ultimate che questo Spider-Man, come anche gli altri pezzi del puzzle dedicato ad Avengers e soci, strizza l’occhio a più riprese, tra citazioni più o meno sottili (il grassoccio Ned, nerd e impacciato aiutante di Peter, interpretato da Jacob Batalon) e intere porzioni di trama date fin troppo per scontate in quella che dovrebbe essere l’ennesima rinascita cinematografica del personaggio.
La scelta è piuttosto lampante: Spider-Man: Homecoming non è un prodotto pensato per attirare nuovi fans tra chi non abbia mai sfogliato un fumetto o divorato i vari Avengers, Iron Man e Captain America su grande schermo. È invece scritto e realizzato, con il consueto mestiere, allo scopo manifesto di riconquistare una volta per tutte quella fetta di pubblico scottata dal traballante terzo capitolo della trilogia di Raimi e delusa dal flop dei due inguardabili teen movie con Andrew Garfield nei panni del Lanciaragnatele. Niente morsi di ragni radioattivi, dunque, né zii uccisi sotto gli occhi dei nipoti a insegnare che “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”.
La vecchia e delicata Zia May diventa qui una Marisa Tomei un po’ hippy e decisamente attraente rispetto al suo alter-ego su carta, e persino il villain scelto per l’occasione, l’Avvoltoio, interpretato da un Michael Keaton felicemente (e meritatamente) recuperato sul grande schermo, è un Iron Man in versione distorta, un sovversivo genio della tecnologia più che un vecchio in calzamaglia e piume.
Ma allora cosa resta del classico Spider-Man a fumetti (soprattutto quello di Brian M. Bendis), da far finalmente gridare al miracolo i fan del personaggio? Semplice: tutto il resto. C’è lo spirito, scanzonato quanto basta ed efficacemente bilanciato da momenti di serietà e tensione. C’è la cura per le storie (pur con qualche perdonabile calo di credibilità) e i dialoghi ben al di là dell’effetto speciale, usato comunque senza esagerare e in maniera realistica e credibile. C’è la costante atmosfera da college americano a fare da cornice alla figura dell’antieroe adolescente, celebrità in maschera e ultimo tra gli ultimi in abiti civili. C’è il tema ricorrente del rapporto padre-figlio, della ricerca di un modello da seguire nella crescita. E c’è, ovviamente, Robert Downey Jr., (oltre a un esilarante cameo di Chris Evans-Capitan America) vero marchio di fabbrica del franchise cinematografico Marvel in tutte le sue diramazioni.
Spin-off della saga guida degli Avengers o incipit di una nuova serie pronta a viaggiare su binari sempre più autonomi? Per quanto la prima delle due consuete scene post-credits faccia propendere per la seconda ipotesi, poco importa: di qualunque cosa sia l’inizio, Spiderman: Homecoming è comunque un buon inizio e, per gli affezionati di comics, un piacevole (e a lungo atteso) ritorno a casa.