È da Oscar “Il caso Spotlight”, il film sui preti pedofili?

In Cinema

Corre per sei statuette il lavoro di Tom Mc Carthy con Keaton, Ruffalo e Rachel Mc Adams. E sul tema esce ora anche il tenebroso “Il Club” del cileno Larrain

Sono sei le nomination all’Oscar conquistate da Il caso Spotlight (per il film, la regia di Tom McCarthy, la sceneggiatura dello stesso McCarthy e di Josh Singer, Rachel Mc Adams e Mark Ruffalo come miglior attrice/attore non protagonisti, il montatore Tom McArdle) e tra pochi giorni sapremo se qualcuna di trasformerà in statuetta (secondo previsioni accadrà). Ma dal sud continente americano arriva in questi giorni sugli schermi anche Il Club del cileno Pablo Larrain, premio speciale della giuria a Berlino 2015, claustrofobico, cupo racconto con al centro le “mele marce” della Chiesa, il fenomeno dei preti pedofili già raccontati dal film inchiesta ambientato a Boston.

Parliamo di un tema, di un dramma che il cinema ha inizato ad affrontare oltre un decennio fa, almeno da quando uscì nel 2003 il crudo Angeli ribelli dell’irlandese Aisling Walsh e l’anno dopo ne parlò, con toni più intimi, Pedro Almodovar in La mala educaciòn. Tanti i titoli sul terma, da Il dubbio (2008) di John Patrick Shanley, con gli ottimi Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman (5 nomination ma nessun Oscar vinto) ai più recenti Mea Maxima Culpa-Silenzio nella casa di Dio dello statunitense Alex Gibney e Calvario di John Michael McDonagh con un ottimo Brandan Gleeson, sacerdote ingiustamente “giustiziato” sulla spiaggia da un uomo abusato da ragazzo. Argomento forte, declinato in tanti modi e stili diversi: ecco le schede dei 2 titoli in uscita ora.

Boston Globe, il punto di vista della stampa

Il punto di vista della stampa è sempre importante. Perchè, se in alcuni casi può essere parziale, o fazioso, in altri è l’unico utile per riuscire a squarciare il velo di un’ipocrisia latente, profonda, che nasconde in modo interessato la verità. E il tema diventa ancor più complicato quando l’inchiesta giornalistica è capace di rivelare al mondo le contraddizioni di un sistema che possono causare forti ricadute sui valori che lo strutturano, soprattutto se si parla di un’istituzione importante e universale come la Chiesa Cattolica. Il film di Thomas McCarthy ripercorre le rivelazioni dello Spotlight Team del quotidiano Boston Globe, che seguendo puntualmente le notizie relative al comportamento di alcuni sacerdoti della diocesi di Boston, scoprì una rete capillare, e protetta, di abusi su minori da parte di un consistente numero di religiosi, portando alla luce anche un meccanismo di occultamento che impediva di tutelare l’integrità delle possibili vittime e la vocazione degli stessi ministri, portatori di comportamenti dannosi per loro stessi e per l’intera comunità.

A dispetto del tempo passato dalle vicende, ormai note – lo stesso Papa Francesco si è recentemente espresso in favore di un giudizio che ponga l’attenzione sulla differenza tra omertà e misericordia – è doveroso ricordare una pagina nera dell’istituzione ecclesiastica, e anche quanto un punto un vista onesto e profondo, orientato al valore della giustizia, sia stato capace di mettere a nudo e rendere pubbliche contraddizioni pericolose altrimenti insanabili.

La morale rappresentata dall’istituzione ecclesiastica e la giustizia incarnata dagli studi di avvocatura, che coprivano legalmente gli scandali, si avviluppano sempre più in un gioco di interessi contrari alla missione dei loro portatori: così la difesa giudiziaria e un’etica distorta si schierano a vantaggio dei colpevoli, e una “cura” sbagliata dello spirito genera in realtà la sua malattia. Ma Michael Keaton e Mark Ruffalo per primi, guidati da Liev Schrieber nei panni dell’allora nuovo direttore di origini ebraiche Marty Biron, esaltano il carisma di un piccolo gruppo di persone che credevano nel loro ruolo, e che in mezzo a molte difficoltà e ostacoli riuscì a portare a galla con tenacia i fatti.

È, questo, un film ben raccontato che fa perno sulle relazioni, sul sostegno reciproco dei protagonisti, capaci di superare i muri della burocrazia e aggirare le censure, e che penetra nelle dinamiche vaticane, forse con il limite di risultare un po’ troppo esterno e di ridurre il confronto con le figure istituzionali e clericali unicamente a quella del Cardinale sotto accusa. Il caso Spotlight ci ricorda che per operare davvero con rettitudine nella società è sempre necessaria la presenza di un parere libero, non condizionato e orientato verso l’onestà. Uno sguardo che aiuti a mettere in pratica il principio etico “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, che deve diventare un atto di vita concreta e responsabile e non soltanto una massima retorica e teorica.

Il caso Spotlight, di Tom McCarthy, con Michael Keaton, Mark Ruffalo, Rachel McAdams,Liev Schrieber

Daniele Giacari

Nella casa-rifugio dei mancato pentimento

Nella casa di punizione in cui è ambientato Il Club di Pablo Larrain, più rifugio che esilio, in verità, a La Boca, estrema, grigissima propaggine costiera del Cile, vivono quattro preti sconsacrati, affidati per la “rieducazione” a una sorella, la cui disponibilità a comprendere sfiora da subito la connivenza. Pregano, sì, fanno anche penitenza, ma in una vita dove il rimorso sembra l’unico vero assente, si concentrano soprattutto su un levriero da corsa, allevato con amore, che gareggiando porta loro qualche soddisfazione e un po’ di soldi per arricchire la dispensa. Un colpevole equilibrio regna nella casa: finchè dalle finestre si cominciano a udire le grida di Sandokan, uomo non vecchio ma decrepito di aspetto, di spirito e folle nei modi. Padre Lazcano, ex prete pedofilo approdato alla casa, lo conosce bene, ha abusato di lui anni prima, e non regge al terribile spettacolo di come l’ha ridotto. Prende una pistola e si spara. Le gerarchie non possono mettere anche questo scandalo sotto il tappeto, così il giovane Garcia, gesuita e psicologo entusiasta, viene mandato per indagare sui fatti. Gli interrogatori degli altri ospiti e della sorella porteranno alla luce un quadro spaventoso, fatto non solo di violenze sui ragazzi, ma anche di furti di bambini, di cui sono colpevoli questi prelati oggi anziani ma un tempo potenti, e conniventi con la dittatura, che nel cinema cileno, ed evidentemente anche nell’inconscio collettivo, è una ferita ben viva, nella carne della gente e della nazione, e fatica assai a collocarsi soltanto su uno sfondo storico.

il-club

Larrain, regista di film straordinari come Tony Manero, o comunque interessanti come Post Mortem e No, riesce di nuovo a coniugare con efficacia la Storia, sempre drammatica, recente, del suo paese, e le storie di personaggi più o meno grandi, come l’uomo che voleva essere John Travolta o questi monsignori senza umanità, pervasi da deliri di egoismo e di potenza che praticano il male per una squallida, e dichiarata, ricerca di un buon vivere individuale, che passa sopra tutto e tutti, una sorta di credo edonistico alla De Sade in versione integralista.

Così anche l’arrivo di padre Garcia, determinato e bello, rompe solo gli equilibri esteriori, e resta evidente il rimosso di un Paese che fa una gran fatica a ritrovare l’unità interna, a riconciliarsi con se stesso. Nella Storia e nelle storie. La sua vitalità non riporterà la luce in questo angolo di inferno né in questi cuori di tenebra, straordinariamente interpretati da una compagnia d’attori (Roberto Farìas è Sandokan, Antonia Zegers fa Sorella Monica, Alfredo Castro è Padre Vidal, Marcelo Alonso è Padre Garcia, ma tutti sono perfetti) che funzione al meglio come collettivo ma sa anche offrire alcuni impressionanti ritratti singoli, volti immoti, inespressivi, imperturbabili.

ll Club di Pablo Larrain, con Roberto Farias, Alejandro Sieveking, Marcelo Alonso, José Soza, Alfredo Castro, Francisco Reyes, Jaime Vadell, Alejandro Goic, Antonia Zegers

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