Il maestro della fusion imbraccia il contrabbasso e dà spettacolo. Circondato da allievi non sempre all’altezza
Approda al Blue Note la leggenda del basso fusion Stanley Clarke, con oltre quarant’anni di carriera alle spalle e una prolifica attività in studio e sui palchi di tutto il mondo. Maestro del virtuosismo su quattro corde, ha contribuito a riformare la tecnica dello strumento, rendendo l’esecuzione del bass solo uno spettacolo per le masse.
La sua ultima produzione Up, frutto di una collaborazione con numerosi artisti e amici di vecchia data, tra cui Chick Corea e Stewart Copeland, è un album corale decisamente degno di nota: comprende nuove composizioni e vecchi successi, reinterpretati in chiave big band, e spazia tra i generi e le sonorità con notevole eclettismo, passando dal funky al latin jazz con leggerezza ed energia, senza quasi mai cedere spazio a vuoti esercizi di stile.
L’esibizione di giovedì scorso desta sorpresa ma lascia anche qualche dubbio. Salta subito all’occhio la singolarità della formazione: Clarke imbraccia il contrabbasso, che negli ultimi live sostituisce l’ormai iconico basso elettrico Alembic, ed è accompagnato, per evidenti esigenze di tournée, da Cameron Graves alle tastiere e dai giovanissimi Beka Gochiashvili (18 anni) al pianoforte e Mike Mitchell (19 anni) alla batteria, due talenti su cui pendono altissime aspettative per gli anni a venire.
Il concerto si apre con il singolo Up e procede con altri brani, dando ampio spazio all’interplay tra i musicisti e agli intermezzi solistici. Sebbene lo spettro delle dinamiche vari molto, da quelle più delicate e sentimentali, come in Bass folk song #15, a quelle più vivaci e movimentate, di cui il tributo ai Return to Forever No Mystery è forse il momento più rappresentativo, la scelta del quartetto tradisce, almeno in parte, le intenzioni del disco.
L’impressione generale è che Clarke si appoggi eccessivamente sulle doti dei suoi giovani apprendisti, ancora leggermente acerbi dal punto di vista performativo, quasi a voler mascherare un tentativo di rinnovamento personale che non convince fino in fondo. Inoltre, la confidenza con cui il maestro dialoga con i suoi allievi va di pari passo con un tiepido interesse nel coinvolgere il pubblico. Non è un caso se School Days, annunciata come bis dalla presenza dell’Alembic in fondo al palco, non verrà eseguita, deludendo le attese di chi, per un prezzo medio-alto del biglietto (42 euro), si aspettava forse un concerto di altro calibro.
Stanley Clarke Band al Blue Note