Un’appassionata Julianne Moore tratteggia la terribile crisi d’identità di una madre, di un’intellettuale devastata da un Alzheimer precoce. E anche ereditario
Partendo dal libro di Lisa Genova Perdersi, la coppia Richard Glatzer e Wash Westmoreland avvia il progetto Still Alice, trovando nell’Alzheimer da cui è affetta la protagonista un percorso neurodegenerativo diverso ma anche familiare, accostabile alla progressiva e incurabile inibizione motoria di cui soffre Glatzer, affetto da SLA dal 2011.
La cinquantenne Alice Howland, interpretata magistralmente da una fragile ma coriacea Julianne Moore (fresca vincitrice del Golden Globe), è una felice, realizzata docente alla Columbia University di New York, madre di famiglia, che vede la propria esistenza sconvolta da un inarrestabile sgretolamento di ricordi, gesti e capacità di entrare in relazione con le persone a cui vuole bene.
Una serie di allarmanti circostanze portano la donna da un neurologo, che inaspettatamente le rivela di essere affetta da una forma di Alzheimer precoce ed ereditario, che come un parassita si sta voracemente nutrendo delle sue capacità, inibendo lentamente le sue facoltà intellettive e minacciando in prospettiva anche i tre figli.
Sconvolto dalla diagnosi, lo scettico, poco attento marito della protagonista, John (Alec Baldwin), trova inizialmente rifugio nel proprio lavoro, in un disperato e vigliacco rifiuto della realtà, superato però poi dal generale sconforto familiare, trasformato pian piano in paziente rassegnazione. Anche la figlia più giovane e lontana, la teatrante Lydia (Kristen Stewart) trascorrerrà l’estate accanto alla madre, e a stretto contatto con l’evoluzione di una delle malattie più crudeli e socialmente deleterie, ritroverà con lei un inatteso legame.
Alice vede l’effervescenza della propria vita e dei propri affetti sciogliersi rapidamente, lasciando solo i residui della sua (un tempo) brillante esistenza: e all’interno di una delicata, realistica descrizione della malattia, Still Alice mostra elegantemente come nonostante la ferrea volontà della donna di rimanere appesa a se stessa, esemplificata in un tormentato, memorabile discorso, le sue capacità cognitive verranno progressivamente cancellate, trasformando anche piccoli gesti quotidiani, come nutrirsi autonomamente o infilarsi un paio di pantaloni, in ardue imprese.
La vicenda si concentra sulla soggettività, sull’isolamento e l’esclusione vissuti dalla protagonista, scegliendo di lasciare abbozzato il devastante effetto che la malattia ha su chi le sta accanto, ma rendendo alla perfezione il sentimento di disagio e smarrimento vissuti dall’ex docente e studiosa.
E se il suo sguardo si appanna fin quasi a non riconoscere i propri cari, Alice è ancora in grado di utilizzare una matita o i tasti del pc per appuntarsi ogni cosa, in una forsennata lotta contro se stessa: perché anche una paziente affetta dal morbo di Alzheimer, conserva comunque barlumi della sua identità.