Una grande mostra, divisa tra le Gallerie d’Italia e il Poldi Pezzoli, mette in scena le tante sfaccettature del movimento romantico in Italia, tra scambi con la più aggiornata cultura europea delle epoca e affascinanti intrecci con il mondo letterario, Manzoni in testa. A curare l’esposizione, ideale seguito della monografica su Hayez del 2015, è ancora una volta Fernando Mazzocca.
Le attenzioni rivolte alle manifestazioni artistiche che si sviluppano nella modernità e nella contemporaneità abbondano. Accade ciò sia per una certa ‘vicinanza’ di fenomeni culturali a noi limitrofi cronologicamente, che vengono generalmente avvertiti come affini al nostro paradigma di comprensione della realtà, sia per un’evidente e non trascurabile quantità di opere e di testimonianze che la prossimità temporale ci ha consegnato senza lacune di informazioni, come è invece avvenuto per i remoti periodi dell’antichità greca e romana e a tratti per l’età medievale.
L’epoca segnata dall’influenza del Romanticismo – che può essere considerato, sotto certi aspetti, come punto di inizio della contemporaneità nella storia dell’arte – appare come una delle fasi di evoluzione del pensiero e delle arti maggiormente decisive ai fini dello studio dell’evoluzione estetica che ancora agisce sul nostro presente. Un tentativo di sintesi delle tematiche artistiche dell’età romantica può essere apprezzato nella mostra Romanticismo: volti luoghi e storie dell’Italia moderna, allestita in due sedi milanesi fino al 17 marzo 2019. L’esposizione, curata da Fernando Mazzocca, uno dei massimi studiosi italiani di arte ottocentesca, è visitabile alle Gallerie d’Italia e al Museo Poldi Pezzoli.
Un proposito che ha guidato l’esposizione è quello di «restituire […] la diversità che è stata la vera forza del Romanticismo»: come si ricorda in apertura, infatti, «il Romanticismo non ha creato uno “stile”, cioè un comune linguaggio delle forme visive e dei mezzi espressivi». Per presentare tale diversità di linguaggi espressivi, di soggetti e di tematiche si è scelto di allestire un’esposizione corposa: ben duecento sono le opere presenti in mostra. Va sottolineato però che gran parte di esse (circa i tre quarti) è conservata temporaneamente alle Gallerie d’Italia in sedici sezioni, mentre al Poldi Pezzoli è possibile trovare le rimanenti, ripartite invece in cinque sezioni tematiche.
Le due visite alle esposizioni in esame differiscono decisamente fra di loro: se da una parte alle Gallerie d’Italia si è scelto di allestire l’intero spazio dedicato alle mostre temporanee per ospitare un cospicuo numero di opere, al Poldi Pezzoli si sono riadattate alcune sale al piano terra e al primo piano appositamente per l’occasione. In quest’ultimo caso, probabilmente a causa degli spazi ristretti a disposizione, le cinque sezioni dell’esposizione risultano un po’ scarne. Al contrario, come detto, alle Gallerie d’Italia il materiale abbonda.
Quali sono quindi gli aspetti maggiormente valorizzati da un’esposizione (si noti, la prima che attua un tale proposito così manifestamente nel caso dell’età romantica in Italia) diretta a proporre la restituzione di svariate sfaccettature di un periodo complesso, nel suo studio d’insieme, come quello segnato dalle istanze del Romanticismo? Ci soffermeremo prima su ognuna delle due mostre prese singolarmente, per poi ragionare sulle eventuali intersezioni tematiche. Queste compaiono sì fra le due esposizioni, ma va notato che la preponderanza del numero di opere alle Gallerie sovrasta quanto presente al Poldi Pezzoli, tanto da far sembrare il corpus qui esibito quasi una sorta di appendice in confronto.
Alle Gallerie di Piazza Scala, appena entrati nell’ampio Salone Scala, si presenta al visitatore una rassegna di sculture: fra queste, per chi ha familiarità con le collezioni milanesi, non possono non saltare all’occhio subito il Masaniello (1846) di Alessandro Puttinati, prestato per l’occasione dalla Galleria d’Arte Moderna di via Palestro, e La fiducia in Dio (1833-1836) di Lorenzo Bartolini, parte della raccolta Poldi Pezzoli. Da segnalare anche lo Spartaco (1850) di Vincenzo Vela, proveniente invece dal Museo d’Arte della Svizzera Italiana. In particolare le opere di Puttinati e Vela sono esempi della volontà di innovazione in ambito scultoreo che subentra all’idealità di stampo classico-canoviano a partire da circa metà Ottocento; le due sculture si caricano poi di un marcato valore simbolico, che rimanda all’afflato di ribellione del popolo italiano nei confronti del dominio austriaco.
Le prime nove sezioni della mostra sono poi interamente dedicate al paesaggio. La scelta di destinare circa un terzo dello spazio a disposizione per presentare un tipo di soggetto pittorico centrale nell’estetica romantica (è soprattutto tramite di esso che si manifesta la tendenza al sublime) presenta sia aspetti positivi che negativi. Certamente c’è accuratezza nell’offerta di diversi tipi di rappresentazione paesaggistica (scenari naturali quali le Alpi, notturni e marine, o paesaggi arricchiti dalla raffigurazione di episodi storici, o vedute) ma durante la visita, sala dopo sala, il rischio in cui può incorrere il visitatore è quello di un appesantimento, nel caso ci si voglia soffermare su un tipo di opere che ha talvolta bisogno di decisa attenzione nell’osservazione di particolari e strutture compositive.
È in questa prima macrosezione che compaiono anche i dipintidei più importanti artisti stranieri ospitati dalla mostra, fra i quali spiccano Camille Corot, Caspar David Friedrich e William Turner. Del francese sono esposte due tele risalenti al suo periodo di soggiorno italiano negli anni Venti dell’Ottocento, del secondo diverse tele, fra le quali si evidenzia per il potere suggestivo ed evocativo Luna nascente sul mare (1821), proveniente dall’Ermitage di San Pietroburgo; dell’inglese, infine, una tela non fra le più note, di tema mitologico, Il lago d’Averno, Enea e la Sibilla Cumana (1814-1815 circa).
Fra le presenze del panorama italiano, vanno segnalate le attenzioni concesse ai paesaggisti piemontesi Giuseppe Pietro Bagetti (che , al seguito delle truppe napoleoniche, raffigurò anche le vicende della campagna in Italia tra il 1796 e il 1800) e Giovanni Battista De Gubernatis, e ai membri della cosiddetta ‘Scuola di Posillipo’ (i due più noti sono Giacinto Gigante e Salvatore Fergola), che iniziano a radunarsi a partire dagli anni Venti dell’Ottocento attorno al fiammingo Anton Sminck Van Pitloo. Degne di nota sono anche le presenze di tele di Massimo d’Azeglio, Giovanni Carnovali detto Il Piccio, Giovanni Migliara e Angelo Inganni.
La seconda macrosezione della mostra alle Gallerie d’Italia è indirizzata invece alla presentazione della pittura di tipo figurativo. Trovano qui spazio svariati soggetti: si va da una prima sala dedicata a Manzoni e ai Promessi Sposi (qui i due noti ritratti a lui dedicati, quello ambientato di Molteni del 1835 e quello a sfondo neutro di Hayez del 1873, copiato dall’originale del 1841), si passa per alcune sale dedicate al ritratto, al nudo femminile, alla pittura sacra, alle tematiche di genere (si è scelto di presentare in particolare le raffigurazioni dei cosiddetti ‘miserabili’, i ceti poveri), per concludere con la pittura a carattere storico.
La presenza imprescindibile quando ci si riferisce alla pittura figurativa romantica (soprattutto se ci si concentra sull’ambiente milanese) è in tal caso quella di Francesco Hayez (1791-1882), nato a Venezia ma attivo poi soprattutto nel capoluogo lombardo:la locandina dell’esposizione presenta proprio l’immagine di una sua tela in mostra, La meditazione sulla storia d’Italia (1851, prestata dalla Galleria d’Arte Moderna di Verona), quadro simbolo dei sentimenti di malcontento italiani dopo il fallimento dei moti insurrezionali del 1848. Molto presente anche Giuseppe Molteni (1800-1867), anch’egli in vita uno degli artisti più noti del Milanese. Si presta all’attenzione in questa seconda parte della mostra in particolare quanto esposto nella sezione dedicata ai Promessi sposi: la notorietà del romanzo di Manzoni era già grande al tempo, ancor prima di entrare all’interno dei canoni di insegnamento scolastici. Sono osservabili a tal riguardo ben tre immaginari ritratti di Lucia Mondella (due realizzati da Molteni, rispettivamente nel 1844 e nel 1852, e uno da Eliseo Sala nel 1843); di grande impatto risulta poi il Ritratto dell’Innominato di Hayez (1845 circa).
Anche al Poldi Pezzoli, sulla scia di quanto avviene nell’altra sede, l’esposizione procede per piccoli nuclei tematici pregnanti, all’interno della temperie romantica:la pittura di storia dedicata alla commemorazione degli ‘uomini illustri’, il ritratto e l’autoritratto dell’artista, la rievocazione degli episodi letterari danteschi e la raffigurazione degli eventi dei moti insurrezionali A questi è accostata una sezione con tematiche maggiormente slegate dal contesto principale: si tratta di una saletta con diverse teche dedicate all’opera di illustratore di Giovanni Battista Gigola, miniatore di spicco, ancora di formazione settecentesca main cui vengono riscontrati tratti preromantici. Nella prima sezione la tela del romano Francesco Podesti Il Tasso alla corte di Ferrara (1831) pone un accento sulla tematica storico-commemorativa; nella parte sugli autoritratti si distinguono due fra i più noti di Hayez (l’Autoritratto in gruppo di amici, 1827, già in collezione Poldi Pezzoli, così come l’Autoritratto con leone e una tigre in gabbia, 1831), il singolare Autoritratto con pappagallo (1855) del perugino Mariano Guardabassi e la raffigurazione di un oggetto allora all’avanguardia nell’Autoritratto con macchina fotografica (1855-1860) del bolognese Alessandro Guardassoni.
Attenzione particolare merita poi la sezione dedicata alle opere legate alla Commedia dantesca: accenniamo solo all’esempio del bozzetto (1805-1810) del grande Giuseppe Bossi (altro nome familiare a chi frequentasse le collezioni milanesi, molto presente alla Galleria d’Arte Moderna in via Palestro) inerente all’episodio di Paolo e Francesca, la cui architettura è ispirata al Giudizio Universale michelangiolesco. Infine, nella sezione dedicata ai conflitti dei moti insurrezionali del 1848, si stagliano per pathos la statua L’audace Righetto (1851) di Giovanni Strazza e la Trasteverina colpita da una bomba (1849) di Gerolamo Induno.
Procedendo per nuclei tematici, il visitatore può prendere contatto con una pluralità di propositi figurativi, che nell’insieme forniscono, purtroppo, solo una selezione di quanto è possibile presentare riguardo ad uno dei movimenti artistici più innovativi e fecondi per la storia delle arti. Si potrebbe a buon diritto parlare di movimenti romantici, che si differenziano geograficamente e secondo il diverso tipo di forma d’arte. Nelle due mostre milanesi si prende in esame specificatamente il Romanticismo italiano, con particolare attenzione all’interesse che gli artisti maturano, oltre che per i generi canonici accostabili alla sensibilità romantica (le già menzionate raffigurazioni paesaggistiche, i ritratti ed il genere storico) anche verso le trasposizioni di motivi letterari e di carattere patriottico.
Un unico rammarico resta forse, dopotutto, nel caso di esposizioni di questo tipo, all’interno delle quali il curatore deve necessariamente attuare delle scelte per offrire uno sguardo d’insieme, forzatamente limitato. Si tratta appunto dei confini a cui si deve sottoporre il proprio operato, ed attuare una scelta espositiva che dovrà quasi forzatamente essere ristretta per alcuni aspetti di analisi. E nei confronti del Romanticismo, è questo un rammarico forse anche più esacerbato dall’importanza che questo momento assume, come si è detto, per gli sviluppi delle dinamiche contemporanee, sia estetiche che extraestetiche. Non a caso Hans-Georg Gadamer, noto filosofo tedesco del secolo scorso, esaminando, in Verità e metodo,le svolte che implica il concetto di cultura così come si delinea alla fine del XVIII secolo (circa in concomitanza quindi con le prime istanze romantiche in Germania), sottolinea come in tale momento storico sia in atto un «mutamento spirituale che, mentre ci fa sentire ancora contemporanei di Goethe, ci fa apparire come remota preistoria già l’età barocca»
Immagine di copertina: Giuseppe Pietro Bagetti, Notturno con effetto di luna, 1820-1830. Torino, Musei Reali – Palazzo Reale